il ricordo
QUEL CANDORE ANGELICO DI UNA RAGAZZA CHE DESIDERAVA SOLO UNA VITA NORMALE
Non c’è sorte peggiore che sopravvivere a un figlio. È un fatto innaturale che porta con sé un carico di dolore straziante e senza fine. A questa terribile legge non si sono potuti sottrarre i genitori, Vincenzo e Rosaria, della ventunenne Elisabetta Arena, deceduta lo scorso martedì a causa di un tragico incidente. Elisa era prima di tutto una figlia che amava i suoi genitori, una sorella che adorava le sorelle Caterina e Francesca e il fratellino Samuel. Ma la giovane scomparsa prematuramente era anche una donna dotata di un bagaglio umano intenso, intriso di sentimenti autentici e profondi. Serietà e puntualità, le costanti presenti nell’esercizio delle sue prestazioni lavorative. Qualità encomiabili, rivelatrici di una cultura antica che conosce pienamente il senso del sacrificio e il valore della libertà che si conquista con l’impegno onesto e quotidiano. Impossibile accettare la triste realtà. Troppo piccolo il santuario dedicato alla Madonna Santissima della Neve per offrire accoglienza a una folla così imponente. Troppo grande per dare risposte immediate sul senso di un fato così avverso. Lo strazio sovrasta ogni cosa e rende impossibile alleviare una ferita così profonda. Ritornano in mente i tanti episodi offerti dalla quotidianità, vissuta da Elisa con candore angelico e purezza di spirito. Mancano da subito, i suoi sorrisi sinceri che celavano una timidezza tenera e innocente. Mancherà quel suo modo di atteggiarsi, sempre misurato e mai fuori dalle righe e così la sua riservatezza che faceva da contraltare al suo dinamismo. La sua compostezza, la solare bellezza della sua giovanissima età, la parola sempre conciliante e predisposta al bene. Impossibile dimenticare la sua umanità. Per indole e sensibilità, Elisa sapeva leggere nel cuore dei puri e dei buoni come pochi altri. E dai suoi simili era stata ben voluta e ammirata per questa sua speciale prerogativa. Credeva nell’amicizia che considerava quasi sacra e per la quale era disposta a impegnare le sue migliori energie. Pensava che il lavoro fosse lo strumento per il riscatto sociale e sul quale costruire un percorso di vita lineare e coerente. Immaginava il futuro in una cornice di affetti semplice e completa. Una ragazza vivace che non conosceva la rassegnazione e che affrontava le difficoltà tipiche della sua generazione con coraggio e determinazione. Senza eccessi e con una naturale propensione alla benevolenza e alla disponibilità. Il garbo e delicatezza, i paradigmi di un’operosità umile e tenace. La generosità del suo agire, ispirato dalla spontaneità e dalla mitezza, rimarrà bene impresso nelle menti di quanti l’hanno conosciuta. Il loro cuore custodirà lo splendore di una ragazza stroncata nel fiore degli anni da un destino crudele. Non c’è nulla che è estraneo alla vita; neanche la morte. E nemmeno l’amore che se non sconfigge del tutto la morte, impedisce la sua infausta e totalizzante vittoria. Minerva Jones, poetessa del villaggio nell’ “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters pronuncia le seguenti parole: «C’è qualcuno che vuole andare nel villaggio del paese e raccogliere in un libro i versi che scrissi? Avevo tanta sete d’amore! Avevo tanta fame di vita!».
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 7 ottobre 2011, p. 37