UNA SACRA ICONA DI ORIGINE BIZANTINA
L’icona della Madonna di Romania è avvolta da un fitto alone di mistero. Per dipanare la matassa sulle sue origini, occorre avviare la ricerca da Montevergine (o Pantaio) massiccio calcareo della Campania che si erge a nord-ovest di Avellino, esattamente dal comune di Mercogliano, con fianchi ripidi e boscosi (folta la vegetazione di castagni e faggi). Fino all’alto medioevo il suo nome era “Monte Virgilio”, in quanto si riteneva che il poeta latino Virgilio avesse un orto in tal luogo. L’altura, successivamente, venne consacrata alla Vergine; fu allora che il suo nome cambiò e assunse la denominazione di Montevergine. Nel sito sorse un’Abbazia benedettina che, nel corso dei secoli, ha rappresentato un importante punto di riferimento per la vita spirituale e civile di tutta l’area circostante. D’altronde, la preghiera, unitamente al lavoro manuale e intellettuale è un fattore chiave dello stile di vita dei monasteri benedettini. Infatti, nella regola di San Benedetto e, in particolare, nel capitolo quarantotto, si contempla l’importanza della preghiera, ma che sia alternata con momenti di studio e con lavoro manuale. Ciò rispecchia, perfettamente, l’enunciato benedettino: ora, lege et labora (prega, leggi e lavora). Nel santuario benedettino è custodito un quadro misterioso, raffigurante una Madonna dalla carnagione scura, dai tratti inequivocabilmente bizantini. Nel Seicento si è dato credito alla leggenda che voleva tale icona dipinta fino al petto direttamente da San Luca a Gerusalemme, esposta poi ad Antiochia e, infine, trasportata a Costantinopoli, attuale Istanbul. Verso la fine del tredicesimo secolo, in seguito all’insediamento di Michele Paleologo sul trono di Costantinopoli, l’imperatore Baldovino II, in fuga (1261 d.C.), avrebbe fatto recidere la testa del quadro, portandola con sé durante il suo esilio. In tal modo la salvò dalla distruzione da parte degli iconoclasti. L’immagine della Madonna sarebbe così giunta, per via ereditaria, nelle mani di Caterina II di Valois, che dopo averla fatta completare da Montano d’Arezzo, nel 1310 l’avrebbe poi donata ai monaci di Montevergine, facendola collocare nella cappella gentilizia dei d’Angiò. Per dirimere dubbi e perplessità sulla sacra immagine, il Concilio ecumenico vaticano (1962-1965) affidò ad alcuni critici e storici dell’arte, il compito di stabilirne l’origine. I risultati di tale indagine furono univoci e concordanti: la paternità del quadro venne assegnata alla scuola di Pietro Cavallini. Innanzi tutto per la presenza di alcuni elementi stilistici distintivi della sua tecnica pittorica, come l’intonazione bizantina e il tipico modo di panneggiare; in secondo luogo per l’acclarata sua attività alla corte degli Angiò. La presenza dei gigli angioini intorno all’immagine della Vergine, ne legano indiscutibilmente l’origine pittorica a quella casa regnante. Nel corso dei secoli la sacra immagine assunse il titolo definitivo di “Madonna di Montevergine”. La tela, nel tempo, ha subito sensibili modifiche. Sono stati aggiunti alcuni particolari degni di nota come le corone poste sul capo della Madonna e del Bambino ad opera di famosi maestri orafi di Napoli. Nel 1960, per fare fronte all’enorme flusso di pellegrini, fu realizzata una nuova basilica e la tela venne così ubicata sul grandioso trono dell’altare maggiore. Nella splendida cattedrale normanna di Tropea, al centro dell’abside maggiore, è custodito il quadro della Madonna di Romania, la cui somiglianza con quello di Montevergine è evidente. L’appellativo “Romania” è connesso al racconto che fa venire il quadro dall’Oriente al tempo dell’iconoclastia. Secondo la leggenda, nel 1638 il vescovo del tempo, monsignor Ambrogio Corduba, domenicano, per diverse notti avrebbe sognato la Madonna che gli avrebbe manifestato il desiderio di essere portata in processione per le vie del centro abitato. Da ciò impressionato, organizzò la processione. Senonché, mentre era di ritorno verso la cattedrale, un catastrofico terremoto scosse ma non intaccò Tropea. Fu così che da quella data, 27 marzo 1638, la Vergine mora venne posta sull’altare maggiore del sacro tempio. Gli studiosi locali furono a lungo incerti di quale “Romania” si trattasse, conoscendone tre: la Romagna, Napoli di Tracia (Romania maggiore) e Napoli di Argolide (Romania minore). Alla fine optarono per Napoli di Tracia (regione sita tra il nord-est della Grecia, il Sud della Bulgaria e la Turchia europea) poiché in un antico inno, il Sinodo, si rivolgeva alla Vergine, pronunciando l’espressione: «Feros Thraciae viros dereliquisti». Il 3 settembre del 1877 il vescovo coadiutore monsignor Luigi Vaccari, ottenne il riconoscimento dell’Incoronazione per decreto del Capitolo Vaticano che fu poi realizzato il successivo 9 settembre. Alla misteriosa icona, vengono accreditati miracoli di ogni sorta: guarigioni, terremoti, mancato scoppio di alcune bombe durante la Seconda guerra mondiale. Vito Teti, nel saggio “Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati”, edito Donzelli, in ordine alla provenienza della sacra icona, riporta un antico racconto, giudicato storicamente attendibile: «si vuole che l’icona della Madonna, sfuggita alla persecuzione iconoclasta, viaggiasse su un’imbarcazione che, in prossimità di Tropea, si fermava in mezzo al mare, impossibilitata a proseguire oltre. Per tre volte, come ricorda anche don Francesco Mottola, l’immagine bruna della Madonna Santa fu portata sullo scoglio completamente circondato, a quel tempo, dal mare. Tre volte le offrirono le lodi di preghiera, tre volte fu riportata sulla nave, tre volte il navarco diede l’ordine di partenza, ma la nave non si muoveva. Allora i marinai salirono in fretta all’Episcopio, dove al vescovo Teodoro era già apparsa la Madonna per annunciare la volontà della Vergine di venire a Tropea. Il popolo scese allora alla marina e portò la sacra immagine alla Cattolica. Da allora Tropea, è denominata la “città di Maria”. Antonio Maria Barone in un’articolata analisi, descrive la sacra tela nei seguenti termini: «Il quadro poi da sé manifesta che si appartiene al genio e allo stile che in quel tempo informava l’Oriente l’arte bella della pittura. (…). L’effetto che produce in chiunque lo guarda predica per ispirazione divina (…).Il figlio guardando la madre par proprio che muova i labruzzi e dica: «Io in te mi compiaccio». La madre gittando gli occhi del Figlio li dirige su tutti, che da qualunque lato lo guardano (è questo un effetto sublime, tutto proprio di questa sacratissima immagine) modestamente sembra che di rimando profferisca: «Io ti venero, o mio Dio, ed in uno mio figliuolo; e Voi, figliuoli, chiedetemi ciò di che abbisognate; non temete: sono io la madre vostra». A San Giovanni di Zambrone la sua venerazione ha origine dalla ridente cittadina tirrenica. La Madonna di Romania, però, è entrata nel cuore dei sangiovannesi, tanto da essere considerata, insieme a santa Marina, patrona della frazione di Zambrone, il principale riferimento spirituale della locale comunità cristiana.Corrado L’Andolina
(Pubblicato su Cronache Aramonesi, gennaio 2009, anno V, n. 1)