Nel corso della santa visita pastorale che ha interessato il Comune di Zambrone dal 15 al 18 dicembre 2012, il vescovo ha anche incontrato le associazioni laiche che operano sul territorio nel salone parrocchiale “Pio XII” di San Giovanni (17 dicembre). In tale circostanza, il Centro studi umanistici e scientifici Aramoni, nel cesto contenente alcuni “prodotti” culturali realizzati dal sodalizio, ha anche consegnato a monsignor Luigi Renzo la lettera che viene di seguito integralmente riportata.
LA SANTA VISITA PASTORALE COME ATTO D’AMORE
Una lezione di filosofia ben orchestrata e proposta come un brano di musica classica o una poesia di Goethe che leggi una sola volta e non dimentichi più, un insegnante che è consapevole di dire qualcosa di importante che entra nell’animo dei suoi allievi e vi rimane per tutta la vita. Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me, sintesi etica ma anche poetica dalla “Critica della Ragion Pratica”, che il filosofo tedesco volle far incidere sulla sua lapide. Fu la sensazione che provai quando questa semplice frase risuonò, nel silenzio dell’aula liceale. Il cielo stellato, simbolo dell’universo, di un creato misterioso e inaccessibile nella sua interezza alla conoscenza umana. La legge morale, invece, chiara e ineludibile che “vive” dentro di noi, sorveglia i nostri comportamenti, impone il coraggio della scelta tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Essa è il fondamento che dà senso a ciò che chiamiamo coscienza, è il patrimonio morale della nostra personalità e della nostra individualità, unico e imprescindibile. Essa è una dote posseduta da tutte le creature umane, vale, cioè per tutti, in tutti i tempi e in tutte le società, in tutte le situazioni e in tutti gli eventi in cui ci imbattiamo nel nostro percorso umano. Non spiega come ci dobbiamo comportare in una determinata situazione ma come dobbiamo agire in tutte le situazioni perché è come un comando, un imperativo categorico inviolabile che vive in noi ma lascia intatto il libero arbitrio. Possiamo, se vogliamo, ubbidirle sottraendoci all’errore o trasgredirla dando retta alla nostra fallibilità umana e alla nostra fragilità. Non possiamo dimostrare che cosa ci dice la nostra coscienza nel momento in cui siamo chiamati a scegliere tra il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, il fine e il mezzo, la saggezza e l’errore ma sappiamo comunque cosa essa ci dice. E quel che essa dice, che poi lo seguiamo oppure no, è il segnale che ci collega alla nostra dimensione etica, al valore del rispetto che dobbiamo a noi stessi e agli altri, ai nostri sentimenti, insomma al nostro mondo religioso, alla riflessione che tutte le nostre azioni hanno un significato, propongono un giudizio su di noi da parte degli altri. E che di esse dobbiamo rendere conto non solo alla nostra coscienza ma anche alla nostra anima ed alla fede di cui essa si informa. La fede e le azioni, ossia le opere, sono ciò che, soprattutto, differenzia il protestantesimo luterano dal cattolicesimo romano, tenuto conto che per il primo è sufficiente la fede mentre le opere e le azioni rientrano nella sfera del comportamento individuale senza pregiudizio per la salvezza definitiva dell’anima. La peculiarità cattolica -e in essa, a mio parere consiste la sua maggior forza- è l’avere congiunto l’interiorità dell’uomo (la coscienza e la fede) e l’esteriorità (il comportamento e le opere) per il conseguimento di un fine superiore che afferisce alla salvezza dell’umanità attraverso la volontà del bene e la consapevolezza che ciascun essere è in grado di dare più di quanto egli stesso creda. Volenti o nolenti siamo tutti figli della grande cultura e della grande morale prodotta un paio di migliaia di anni fa da Gesù. La mia modesta convinzione è che quel che compì quel giovane ebreo trentatreenne, che volle morire su una croce per insegnare la via della salvezza agli uomini, caricandosene sulle spalle il non lieve peso delle loro nequizie, sia servito a qualcosa per tutti, credenti e non credenti. L’intento era di sottrarli al male indicando nuove vie per nuovi valori e nuovi comportamenti: la fede e il perdono, la carità e la speranza, strade che portano verso la salvezza, strade che sono diritte e visibili e che non possono essere occultate dalle nebbie dei tentennamenti né confuse con scorciatoie che allontanerebbero, alla fine, la meta anziché avvicinarla. Perché nessuna azione, anche la più giusta e la più caritatevole, nessun comportamento, anche il più formalmente rispettoso delle regole ha valore se non s’informa del concetto di “amore”. Certo lo stesso Gesù dovette rendersi conto che il cammino che indicava non era dei più semplici e non ha avuto alcuna esitazione ad affermarlo con chiarezza mettendo in guardia contro le lusinghe dell’edonismo, il richiamo dei beni materiali, i pericoli della ricchezza. Conosceva bene le debolezze del cuore umano ma a tutti era offerta la possibilità del riscatto attraverso la preghiera e il pentimento, il rafforzamento della fede e l’accettazione dell’amore. Nessun uomo è abbandonato a se stesso, nessuna creatura è definitivamente persa se si accosta consapevolmente ad uno solo di quei valori che introducono all’amore. E del resto basta guardare alla vita dei santi più celebrati per rendersene conto, da san Francesco d’Assisi e santa Chiara a padre Pio e Madre Teresa di Calcutta. La loro vita che cosa è stata se non un percorso d’amore? E l’amore è l’opposto dell’egoismo. Ed è anche la strada più difficile da percorrere perché allontana da se stessi per andare incontro agli altri, sacrifica le potenzialità dell’essere se stessi per sostenere le potenzialità altrui. Non basta dare una mano a sfamare il prossimo che non ha i soldi per comprare il pane se poi non ti fermi a parlare con lui, non basta dare metà del proprio mantello al seminudo che percorre la strada nel gelo se poi non lo accompagni fino alla meta più vicina per farlo riscaldare. La direzione che indica Cristo nel discorso delle beatitudini mette in discussione il presente di ciascuno e ci spinge a domandarci se sia davvero un male essere ricchi, possedere tante case, avere successo, possedere gioielli, barche, ville e trascorrere le vacanze nei luoghi più esotici spendendo quanto un povero non guadagna in un anno. Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche proprio su questo aspetto sviluppa la sua feroce critica al cristianesimo attaccandone la morale che definisce addirittura come un “crimine contro la vita” e sostenendo che è più attinente al comportamento dell’uomo (e anche più comprensibile) la ricerca del “regno della terra” anziché quella del “regno dei cieli”. Non è questa la sede per approfondire tali tematiche. Magari vi saranno altre occasioni e altri momenti. Quel che mi preme sottolineare, in questa circostanza, è che non vi è morale cristiana senza la consapevolezza dell’amore, come evidenziato anche dal Santo Padre nel suo “Gesù di Nazaret” pubblicato nel 2007. Si tratta del primo volume della trilogia su Gesù scritta da Joseph Ratzinger. L’ultimo, sull’infanzia del Redentore è uscito proprio in questi giorni. Libri, questi del Santo Padre, che diventano in poco tempo dei best sellers e conquistano i primi posti dei libri più venduti. Perché? Come mai in un mondo così laicizzato, adoratore del superfluo, immerso nell’edonismo, apparentemente così lontano dai valori spirituali e da quelli della cultura in generale, riscuotono tanto successo i libri su Gesù di Joseph Ratzinger? Sommessamente, ragionandoci sopra, mi viene da rispondere che certi valori non scompaiono mai. Essi albergano nel nostro cuore più che nella nostra coscienza. Fanno parte del nostro mondo insondabile dei sentimenti, si aggregano al nostro bisogno non solo di sapere e di conoscere ma di non perdere mai di vista la profondità del nostro Io e delle sue ansie etiche.
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E anche la nostra presenza qui, di tanti uomini e donne, in fondo risponde alle medesime esigenze. Una visita pastorale che cos’è? È anch’essa un atto d’amore. È la Chiesa che s’immerge nel complesso della realtà che le sta intorno. E lo fa andandole incontro, ricercandola per capirla e sostenerla, confortarla e studiandone le nuove esigenze, i nuovi fattori sociali che ne ispirano i comportamenti, ne suscitano le nuove ansie, la qualità dei rapporti tra Chiesa e società, guardando ai giovani e alle donne, alle nuove categorie di poveri prodotti dalla crisi che imperversa. È, insomma, un momento che mette insieme realtà e idee, pensieri e speranze, che prepara nuovi orizzonti spirituali e altre possibilità per la Chiesa di manifestare la sua fattiva presenza nel mondo. Nel nostro mondo in particolare. Così difficile e così carico di contraddizioni e di problemi. Siamo profondamente grati al nostro vescovo, Sua Eccellenza Luigi Renzo per avere deciso di trascorrere in mezzo a noi questi giorni che preannunziano il Natale. È una presenza, la sua, che riempie vuoti spirituali e apre nuove prospettive. La nostra è una società in cui convivono valori tradizionali, rappresentati dalle categorie umane più anziane e più legate alla cultura contadina e nuovi orientamenti, dove i giovani in genere tendono a smarcarsi rispetto ai propri padri e ai propri nonni rifiutando di riconoscersi nel lavoro agricolo, considerato scarsamente redditizio ed eccessivamente faticoso, fuori dagli standard proposti dal mondo contemporaneo. I problemi che ne derivano sono facilmente intuibili. Accenno soltanto al dato sotto gli occhi di tutti per il quale la ricerca del lavoro assilla la maggior parte delle famiglie. La scarsa occupazione provoca incertezza, dubbi, difficoltà e talvolta suscita problematiche ancora più angosciose. Non siamo qui per distribuire voti in pagella a imprese, governo, enti pubblici. Certo è che questa terra, e qui mi riferisco più in generale alla situazione della nostra regione, vede aggiungersi alle vecchie le nuove povertà e ai vecchi problemi quelli nuovi. E questi ultimi in special modo si collegano all’esigenza di un tenore di vita superiore a quello dei padri e dei nonni ed all’impossibilità pratica di concretizzarlo. Il contrasto tra volere e potere crea quella tipologia di problemi connaturati alla società contemporanea e al mondo giovanile, a cui non riescono a porre rimedio né le pubbliche istituzioni, compresa la scuola, né le tipologie educative delle varie agenzie formative. Ne conseguono caduta dei valori, dispersione del sentimento della famiglia, mortalità scolastica, scarsa fiducia nei valori della cultura, del sentimento serio e profondo, apatia, adattamento alle motivazioni ed alle distrazioni più superficiali proposte dalla società e dalla tecnologia avanzata. La Chiesa si oppone alle derive sociali. Ricordo i numerosi interventi del Santo Padre, della Conferenza episcopale italiana e delle associazioni culturali e umanitarie cattoliche, sostenendo i valori morali, intervenendo in favore dei poveri, adoperandosi per il recupero dei drogati e dei deviati. Lo fa sul piano mondiale e lo fa anche sul piano regionale giacché in Calabria non mancano e non sono mancati momenti di grande coraggio della Chiesa in difesa della legalità e per dare attuazione ai programmi di recupero e di rilancio delle attività, per conseguire l’obiettivo di una società più giusta e non più prigioniera delle mafie, della violenza e della prevaricazione. E vorrei ricordare i suoi nuovi martiri che in tante parti del mondo, dalla Sicilia alla Campania, al Brasile e all’Africa hanno irrorato con il loro sangue il suolo di tanti luoghi. È la Chiesa che vive nel mondo, che combatte e non trema, che sfoggia il suo spirito di sacrificio senza esibirlo come un trofeo ma porta dappertutto la parola di Dio e con essa anche la concretezza di un nuovo ospedale per bambini, di un pezzo di pane dove non crescono le spighe del grano, di una scuola dove l’analfabetismo è la regola. È la Chiesa che si fa amare perché vive con i sofferenti la loro sofferenza mentre si sforza di eliminarla.
E anche qui, in questo piccolo nostro angolo di mondo, arriva con questa santa visita pastorale, per raccontarci al di là degli sguardi torvi che serpeggiano sul volto del male, che la parola di Gesù è sempre viva e ci parla e si manifesta e ci porta la speranza. Ci aiuta a credere in noi stessi, a recuperare quel profondo di noi stessi che è la gioia di avere una coscienza libera che ritroviamo dopo avere creduto di averla perduta, che ci aiuta a superare lo smarrimento di fronte alle sregolatezze ed alle ingiustizie del mondo in cui viviamo e sa come indicarcene un altro nel quale vorremmo vivere. Illumini Sua Eccellenza, con il suo alto magistero, con la parola del Vangelo, questo nostro impervio percorso…
Corrado L’Andolina
*Presidente del Centro studi umanistici e scientifici Aramoni (Zambrone)
Pubblicato su Cronache Aramonesi, febbraio 2013 n. 2