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Valentin Kulak
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Zambrone, messa per Valentin Kulak
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Il bambino di Chernobyl
Valentin Kulak
Valentin Kulak è stato il primo bielorusso a sbarcare in Zambrone. Fu ospite per tanti anni di una famiglia del posto che lo ha accolto e cresciuto con tutto l’affetto possibile. Un amore infinito che non cesserà mai…
La storia
VALIK, DALLA NEVE AL MARE
ERA IL BAMBINO DI CHERNOBYL
E’ stato ucciso nel suo Paese da un’automobile impazzita
Presto sarebbe tornato a Zambrone dalla sua “famiglia”
Se fosse possibile, gli amici di Valik arretrerebbero le lancette dell’orologio di qualche lustro, allorquando in una calda giornata di luglio, il bambino venuto dalla Bielorussia, di appena otto anni, conobbe il mare. Salti di gioia, risate fragorose, esclamazioni in lingua slava e immediata familiarizzazione. Reagì così innanzi all’immensa bellezza di un tratto marino incastonato nella Costa degli dei. Quel giorno il mare sembrava particolarmente azzurro. Valentin era uno dei tanti “Bambini di Chernobyl”. Espressione con cui erano indicati i piccoli delle aree soggette alla radioattività dopo il disastro di Chernobyl. Nessuna regione del mondo ne ospitò tanti come la Calabria. Un gesto di generosità in linea col carattere altruista dei suoi abitanti. In realtà, però, furono i “Bambini di Chernobyl” ad arricchire le famiglie ospitanti. Un arricchimento umano ed affettivo incommensurabile. Gesti, episodi ed eventi segnati da una profonda intensità emotiva furono la cifra di un nuovo modo di vivere la vita. Valentin Kulak venne ospitato dalla stessa famiglia per molti anni, senza soluzione di continuità. Nel periodo estivo, il suo soggiorno variava dalle otto alle dodici settimane ed era trascorso a Zambrone. In quello natalizio soltanto due o tre, tra Zambrone e Vibo Valentia. Faccia vispa, occhi luccicanti e sorridenti. Valik era un bambino vivace fino all’irrequietezza, ma mite; impossibile non volergli bene. I suoi calorosi abbracci, le battute immediate e dirette, la tenerezza dei suoi bacetti avevano la stessa efficacia di un’onda anomala. Ed è per questo che spaventa e non poco, quanto scritto nell’Apocalisse di san Giovanni Apostolo: “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il sole e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più”. Tra le immagini della Bibbia questa è la più inquietante. Se nell’aldilà non c’è il mare, come potrà sopravvivere la sua travolgente onda di umanità ? Valentin cresceva anno dopo anno, ma manteneva l’aria sbarazzina e la purezza dello spirito. Amava vestirsi elegantemente. Una volta, per scegliere un giubbotto, fece visita a tutti i negozi di Vibo. Tra le sue passioni: palloni, patatine fritte e gelati, come per tutti i bambini del mondo. Il suo film preferito era Aladin della Walt Disney. Si divertiva a vedere in tv le gag di Stanlio e Olio. Apprezzava i fumetti, specie Topolino. Nelle lunghe giornate trascorse alla “Marinella” di Zambrone, si rifocillava con i panini preparati da Cristina; i suoi preferiti erano quelli con tonno e pomodoro. Il giorno in cui gli venne regalata la prima bicicletta, l’allegria fu pari all’energia delle sue pedalate. Una volta, a causa di un disguido la partenza venne rinviata. Fu così che decise di festeggiare il compleanno in anticipo (era nato il 14 febbraio 1987). Invitò gli amici vibonesi e zambronesi e confidò che quello era stato il più bello della sua vita. Ogni volta che rientrava in Bielorussia, i tantissimi amici che aveva conquistato con la sua giovialità, realizzavano i suoi sogni portando doni di ogni genere. Le regalie in denaro venivano custodite nei calzini. Ogni suo desiderio era un ordine. Un anno supplicò ospitalità anche per i suoi fratelli, Denis ed Ivan. Anche questa volontà fu esaudita grazie all’intervento solidale di altre persone. La famiglia ospitante Valentin, aveva stabili relazioni amicali con un ingegnere russo, Olga Grinko Tafintsev. Un giorno la giovane professionista moscovita, appositamente sollecitata, si recò a Gomel. Valentin aveva conosciuto Olga pochi mesi prima, sulle rive del mare di Zambrone. Trascorsero insieme qualche giorno e telefonarono ai comuni amici della Calabria. L’incontenibile esplosione di letizia, in Valik, traspariva dalla sua voce più squillante che mai. Probabilmente, quella, fu per lui la prova del nove sull’autenticità di un rapporto affettivo che ormai era diventato solido al pari del granito calabrese, profondo come le acque del Mediterraneo e candido come la neve di Gomel. Fino all’età di sedici anni era stato ospite di un istituto pubblico nella cittadina di Gomel. Poi, per un anno, da una cugina. Dopo il periodo della Leva obbligatoria aveva iniziato a lavorare nel settore edile. Viveva serenamente la sua esistenza. Era felice. Il suo legame con la Calabria era rimasto stabile. Le telefonate erano puntuali e costanti. L’ultima, verso la fine di ottobre. Aveva confidato che era felicemente fidanzato e che avrebbe avuto il desiderio di ritornare a Zambrone per presentare ai cari amici calabresi la donna della sua vita. Una notizia che aveva reso felice “Sascia, Janna, Uolga e Carrado” come li chiamava lui. Ma il destino è infausto. Qualche giorno fa un’autovettura impazzita lo ha travolto. Le sue ultime parole rimbombano costantemente nelle orecchie di chi lo ha sentito al telefono poche settimane fa: “Vi voglio bene”. Anche loro, Valik, ovunque tu sia e per sempre. L’idea di non potere più accarezzare i suoi capelli, ascoltare le sue battute improntate a una naturale ironia, abbracciarlo, è desolante. Qualsiasi essere umano ha capacità fisiche e morali limitate. Proprio per questo è impossibile accettare eventi strazianti che in modo del tutto innaturale portano con sé un carico di dolore infinito. Nessuna pertinente omelia, discorso consolatorio, considerazione saggia, può spingere verso la strada della rassegnazione. La drammatica scomparsa di un ragazzo appena ventunenne getta gli animi di quanto lo hanno amato in una tempesta interiore devastante. Non esiste un’ancora di salvezza che possa arginare gli effetti terrificanti della morte di un proprio caro. Valentin aveva una spiccata tendenza per il ballo. Lo s’immagina, per dirla coi versi di una canzone calabrese, genere che lo divertiva tanto, mentre “Danza cu lu ventu, comu l’unda di lu mari” (Danza con il vento come l’onda del mare). Valentin, non può smettere di danzare, giocare, divertirsi. E se sei lassù continua a giocare, saltellare, sorridere, piccolo Valik, noi continueremo ad amarti da quaggiù.
Corrado L’Andolina
• Pubblicato su Calabria Ora il 12 novembre 2008, p.34
Era il bambino di Chernobyl
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