>
Aramoni.it
>
Storia
>
Personaggi storici
>
Mimmo Giannini
Home Page
Il discorso
Intitolazione della Scuola Primaria
pagina vista 1477 volte
Il ragazzo dalla millecento bianca
Mimmo Giannini
Novembre 1972. Agitavano le bandiere bianche con lo scudo crociato dai finestrini delle automobili e cantavano e strombazzavano con i clacson. La prima auto del corteo recava il senatore e il capolista, prossimo sindaco. Erano felici per lo scampato pericolo. Diciannove voti di differenza. Solo diciannove voti in più della lista avversaria. Si scambiavano complimenti e forse commentavano l’ultima felice mossa proposta dagli amici della sezione. Una mossa davvero provvidenziale, che aveva sottratto ai socialisti proprio quei pochi voti determinanti per la vittoria e portato a lavorare nella forestale quattro o cinque giovanotti disoccupati e in cerca di lavoro.
Il tour di ringraziamento era partito dal capoluogo. Diecine d’automobili in fila, ben organizzate, ben ordinate correvano verso San Giovanni.. Da lì sarebbero scese verso Daffinà e Daffinacello Erano già in prossimità del ponte che immette nell'abitato quando gli occhi del senatore e del prossimo sindaco furono turbati da una visione inattesa: proprio lì, alcuni appoggiati alla spalliera, altri verso il margine della carreggiata, un gruppo di ragazzi agitavano bandiere rosse e salutavano con il pugno sollevato in alto. Tutte le auto cominciarono a pigiare sui clacson ancora più forte, con rabbia, indignazione e sgomento. Qualcuno voleva fermarsi per "dare una lezione", qualcun altro mormorava sulla necessità di "respingere le provocazioni". Ma l'entusiasmo per la vittoria e il poderoso corteo s’era come dissolto. Incredibile. Quei ragazzi non avevano paura. Dimostravano, anzi, una sfrontatezza e una determinazione senza limiti. Alla loro testa un giovanotto alto, capelli ricci, atteggiamento vagamente spavaldo, occhi nocciola, da sognatore, passo rapido, sorriso gentile e quasi timido. Era Mimmo Giannini. A San Giovanni non c'era bisogno del cognome né del soprannome. Se si diceva Mimmo era chiaro a tutti che ci si riferiva a lui. E a lui si ricorreva nei momenti di bisogno, per accompagnare dal medico un ammalato grave, per correre in farmacia per medicine d’urgenza, per farsi accompagnare dallo specialista o per andare a riscuotere la pensione, per andare a Tropea alla Cassa mutua o per un ricovero d'urgenza all'ospedale di Vibo.
Circolava con un'inconfondibile 1100/D bianca, di terza o quarta mano, assai bisognosa di frequenti interventi del meccanico per fare il suo dovere ma sotto la sua guida sembrava scorrere veloce e liscia come se fosse nuova. Mi torna in mente, insieme a tanti altri, l’episodio raccontato, non perché sia particolarmente importante ma per il valore simbolico che, con il tempo, ha acquisito nella mia mente e nel mio cuore. Era la prima volta che chi perdeva le elezioni rifiutava di accasarsi presso il vincitore e anzi esibiva pubblicamente, con fierezza ed orgoglio la propria identità dichiarando implicitamente la superiorità della propria cultura politica e delle idee che la determinano. Il paese non era abituato a simili comportamenti. L’espressione più ovvia e più pronunciata era: “Ma chi te lo fa fare?” oppure “Va bene, resta pure con le tue idee ma tienitele per te!” O ancora: “Non metterti contro tutti per le tue idee. Puoi avere bisogno di quelli che ora comandano!”. Mimmo era estraneo a questa logica meschina per carattere, per formazione e soprattutto perché intuiva che il suo ruolo nel paese non era di stare dietro agli eventi ma di stimolarli e indirizzarli. Capiva che poteva essere utile al suo paese soltanto accogliendo dentro di sé un percorso politico e culturale che interpretasse le sue convinzioni e fosse possibile spiegarlo agli amici ed ai concittadini, in un ambiente che in qualche modo non lo ricusasse pregiudizialmente. Capiva anche che una scelta di questo tipo obbligava lui per primo a superare gli strascichi di vecchi episodi e di vecchi rancori di cui, purtroppo, è ricca la cronaca remota dei nostri paesi. Mimmo seppe farlo con semplicità e naturalezza e divenne presto il riferimento dei ragazzi, che cominciò a portare in giro con la sua 1100 per stare in loro compagnia e per conoscerli e farsi conoscere. Parlava di politica senza dare a vederlo, sapeva capire gli altri e si immedesimava nei loro problemi. Aveva la pazienza di chi sa ascoltare e la determinazione di chi sa agire e il suo atteggiamento incuteva sicurezza e…speranza. “Dammi tempu ca ti perciu…nci dissi u surici a nuci” (Dammi tempo e riuscirò a perforarti, disse il topo alla noce) era uno dei suoi motti preferiti, quello che interpretava meglio la dote principale del politico, la chiarezza delle proprie convinzioni e la pazienza per farle accettare. E, soprattutto, la convinzione di non considerare mai nessuno un nemico, un irrecuperabile, ma solo qualcuno che deve essere convinto con l'uso della ragione e con le buone azioni. Aveva appreso a Vibo, frequentando l’Istituto professionale per l’industria e l’Artigianato, da qualche professore imprudente alcune nozioni di socialismo che avevano trovato riscontro nella sua realtà con una discreta frequentazione di Micuccio Grillo, il capo dei socialisti locali (come riportato nel numero precedente di Cronache Aramonesi). S’impegnò con grande intelligenza nelle elezioni del 1970: un grande successo dei socialisti nelle elezioni amministrative, un buon risultato alle provinciali e regionali di quell’anno. E per la prima volta, in vita sua, ebbe la soddisfazione di lavorare per qualche mese al Comune. Ma era considerato pericoloso perché amato e seguito dai giovani, perché disponibile e capace di aggregazione. Così lusinghe e minacce si alternavano a promesse di buona sistemazione purché….Una volta gli fu teso un agguato con l’intento di danneggiarlo sul piano economico e dell'immagine e furono usate strumentalmente le istituzioni locali contro di lui. Bloccato in mezzo alla strada stava per essere fatto oggetto di vessazioni e vendette. Il mio casuale arrivo -allora ero sindaco - capovolse la situazione con l’intervento dei Carabinieri da me chiamati per fare giustizia. In fondo Mimmo era fatto in modo curioso: capace di trasformarsi in una furia con i suoi abbondanti 180 centimetri di altezza e fisico in proporzione per difendere un amico era restio a darsi da fare per se stesso. Probabilmente applicava la sua particolare filosofia della pazienza e dell’attesa, della comprensione delle altrui ragioni unitamente al suo metodo del ragionamento e della fiducia negli altri. O forse era soltanto il suo cuore buono e generoso che induceva la sua mente a riflettere sulle motivazioni che muovono le azioni degli altri: un lavoro dell'intelligenza e del cuore, appunto che gli altri, quali che fossero le loro convinzioni e le loro responsabilità, in qualche modo intuivano. Per questo tutti finivano con il volergli bene: alcuni gliene avrebbero voluto di più se non fosse stato un convinto socialista che con il suo esempio indicava a tutti la strada del coraggio e della coerenza. Era proprio ciò che quegli “altri” non riuscivano a capire quando, qualche tempo dopo, gli chiesero conto del saluto con il pugno alzato. “Era soltanto un modo di salutarvi secondo il nostro costume e di farvi sapere che restiamo ciò che siamo stati e siamo!” fu la risposta. Nient'altro. Nessuna minaccia di rivalsa, nessun proponimento annunciato di guerra, nessun disegno di cospirazione. Una semplice dichiarazione a viso aperto e con il sorriso. Un modo onesto e determinato per far comprendere il senso della propria identità e l'irrinunciabilità alle proprie convinzioni ideali, una lezione di etica che, incisa su un volto giovane e pronunciata con il sorriso, ha il valore di un messaggio e di un'eredità morale. Che è rimasta integra nel tempo e ha segnato, tra l'altro, anche il percorso di chi scrive. Qualche volta mi sorprendo a chiedermi: chissà cosa avremmo fatto insieme
per questo paese ?
Salvatore L'Andolina
Post scriptum. C'è una lapide nel cimitero di San Giovanni, apposta su un tumulo addossato alla parete sud della parte vecchia e sulla lapide c'è la fotografia di un ragazzo, folta capigliatura riccia, espressione intelligente, leggermente spavalda. Lì riposa Mimmo, insieme ai genitori Antonio e Porzia Grasso e alla sorellina, drammaticamente scomparsa in tenera età. I fiori freschi non mancano mai: dono permanente e devoto dei familiari e degli amici. Chi guarda le date incise (1948 - 1975) e quella foto, non può trattenersi dal chiedersi: “Perché ?” ma, se osserva bene, comprende e comprende anche le ragioni per cui si trova di fronte ad una memoria che non si spegne e quando torna indietro, appena attraversato il cancello, sente che un po' di sé è rimasto davanti a quella lapide. Questo succede a me ogni volta che mi trovo davanti a quel tumulo. Ma non solo a me. Ne sono certo.
Pubblicato su Cronache Aramonesi. Anno II n. 3. Luglio 2006
Associazione culturale Aramoni - Storia e tradizioni del popolo di Zambrone
frazione San Giovanni, Viale Antonio Gramsci numero 3 - 89867 Zambrone (VV) - Italia
[ Il discorso - In ricordo di Mimmo Giannini ]
[ Intitolazione della Scuola Primaria - Per Domenico Giannini ]