ARRIVEDERCI… TAMBURELLO FESTIVAL
L’annuncio che mai avrei voluto dare: il Tamburello festival non avrà corso. Già lo scorso anno era stata prospettata la necessità di un potenziamento al vertice dell’organizzazione della kermesse. L’appello, però, non ha sortito effetto alcuno. La ragione per cui il festival chiude va ricondotta a motivi prettamente organizzativi. Sul punto servirebbe una disamina approfondita; ma per esigenze d’immediatezza, meglio indicare i dati più salienti. Considerate le dimensioni dell’evento, la gestione degli spazi in cui esso si svolge non può essere addossata all’associazione organizzatrice. E così quello funzionale all’ospitalità di tanta gente. Un festival autofinanziato, come il nostro, poi, avrebbe richiesto ben più ampia e vasta collaborazione. Insomma, il festival chiude a causa dell’isolamento dei suoi organizzatori e per la mancata volontà, da parte di altre figure e soggetti pubblici e privati, di assumersi le dovute specifiche responsabilità. Opportuna, qualche considerazione. Il festival negli anni ha sviluppato, orgogliosamente, un progetto proprio; unico nel panorama provinciale e tra i più rilevanti su scala regionale. Per Zambrone il festival ha rappresentato un momento di gioiosità, notorietà e vitalità. Migliaia e migliaia di persone si sono riversate nelle vie del paese per assistere a un evento che si è via via perfezionato nella sua proposta coreutico-musicale e non solo. Si è orgogliosi di avere ospitato concerti così coinvolgenti e personalità di primo piano nella cultura musicale regionale. Sonaturi come Pietro Adduci, i fratelli Battaglia, Sasà Megna, Claudio Messineo, Micu Corapi, tanto per citarne alcuni. Tanti i gruppi e gli artisti giovani ospitati dal festival che non si è mai piegato alla logica della mediocrità e del pressappochismo. Banditi la banalità, i cliché e la superficialità. Ad ogni edizione è stato proposto un tema, una riflessione, importante lascito culturale per il futuro. E poi, ancora, loghi dal forte impatto visivo, capaci di offrire un’idea delicata della bellezza calabrese. Il teatro e la poesia a tema sono stati la cornice in cui incastonare i concerti. Tantissimi gli artigiani che hanno esposto le loro creazioni per le vie del paese, in impareggiabili Gallerie d’arti e… mille sapori! Calamitanti, le opere dei costruttori degli strumenti musicali tradizionali. Per non parlare dei dolci proposti nell’ambito della Sagra aramonese; grazie al Tamburello festival molte ricette antiche sono state riprese e riproposte al pubblico. Le esibizioni dei Giganti appositamente realizzati dall’associazione, la divulgazione della simbologia collegata alla Cameiuzza, gli artisti da strada che hanno allietato così tanti bambini, gli altri dati che vale la pena ricordare. Articolate e frutto di paziente ricerca, le varie rassegne fotografiche proiettate durante i concerti. Intensi, i corsi di danze popolari calabresi. Divertenti, gli intrattenimenti offerti sul litorale zambronese per incentivare la presenza all’evento. Il festival si è sempre autofinanziato: un esempio rarissimo in Calabria che vale la pena rimarcare con forza ed evidenziare in maniera netta. Altra considerazione. L’aggregazione di per sé non è un valore. Lo diventa se si connota di contenuti d’alto spessore culturale. Se essa, invece, si articola sul piano della mediocrità, la comunità di riferimento non cresce e agonizza lentamente verso la fine. Un ringraziamento ai soci del Centro studi Aramoni: cuore generoso e braccio instancabile del festival e a quanti, nel corso delle undici edizioni, hanno collaborato alla buona riuscita della manifestazione. Meriterebbero tutti una specifica menzione e un giorno sarà fatto nelle modalità appropriate. Non nascondo una profonda tristezza e un dolore lancinante dell’animo. Ritornano alla mente tanti episodi, momenti di soddisfazioni, ansie, preoccupazioni, dispiaceri, fatica, ma anche la felicità per i molteplici risultati conquistati: sia in termini di presenze che di ricerca culturale e di conoscenza. Unica consolazione, l’insegnamento di Chesterton, secondo il quale i cristiani non conoscono la parola “Addio”. E allora, spero vivamente che si tratti di un “Arrivederci”…
Corrado L’Andolina
Presidente del Centro studi umanistici e scientifici Aramoni