ZAMBRONE COLONIA MICENEA?
Rilevate nella zona della marina presenze umane dell’età del Bronzo
ZAMBRONE Nel 1994, alla marina di Zambrone, nei pressi della località “Capo Cozzo” un giovane ricercatore dell’Università di Napoli Federico II, Marco Pacciarielli, rilevò la presenza di testimonianze umane sin dall’età del Bronzo. A distanza di diciassette anni (e cioè lo scorso anno) le ricerche ricevono una repentina accelerazione. Proprio per tale ragione, in situ, è stata allestita, ieri, una conferenza stampa. Presenti, per l’occasione, tutti i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nell’iniziativa. In primis, i due ordinari che dirigono la ricerca: il dottor Reinhard Jung che insegna presso l’università di Scienze Antiche di Salisburgo e lo stesso professore Marco Pacciarelli. Nel corso dell’incontro, il primo ha dichiarato: «I reperti rilevati nell’area saranno inviati presso l’università di Bonn cha ha una campionatura specifica e particolarmente ampia. Queste tracce comprovano che subito dopo il crollo dei “Palazzi” micenei s’instaurano con la comunità oggetto di indagine, ampi rapporti commerciali e, forse, anche culturali. Sottolineo che gli scambi erano reciproci, in quanto a Petrasso sono stati reperiti manufatti realizzati in ceramica proveniente dall’Italia. Difficile stabilire, allo stato, se l’area zambronese fosse una colonia micenea. Si può però affermare un ruolo attivo della comunità che importava ed esportava materia prima con la civiltà micenea. Fino ad oggi si è sempre pensato che il mar Ionio fosse il luogo di contatto privilegiato dai Greci; questa scoperta smentisce ciò e proietta il Tirreno in una dimensione storica privilegiata nei rapporti col mondo miceneo». A seguire, il professore Marco Pacciarelli, il quale ha aggiunto: «La situazione dei luoghi ipotizzabile è la seguente: nella parte marina, probabile l’esistenza di un porto; protetto dall’ampio clivo prospiciente. Nella parte superiore, invece, esisteva una comunità. A loro difesa, gli abitanti realizzarono un fossato lungo almeno 80 metri e una fortificazione. Preciso, che si tratta, nel caso di specie, di un porto, funzionale a un’area vastissima, estesa per circa 200 chilometri quadrati. Plausibile, lungo tale ampio perimetro, la sussistenza una città-Stato. La civiltà esistente in loco raggiunge il suo massimo splendore nell’età del cosiddetto “Bronzo recente”, intorno al 1600-1150 a.C.». Il professore Marco Pacciarelli ha poi concluso il suo intervento con una curiosità: «Oltre ai manufatti in metallo e in ceramica sono stati reperiti alcuni semi che testimoniano la produzione agricola del tempo: farro, miglio, orzo, lenticchie, fave e vite». Presenti alla conferenza stampa anche Simonetta Bonomi, sovrintendente regionale della Calabria che ha sottolineato «l’importanza della scoperta, sotto ogni profilo, specie storico e archeologico» e Maria Teresa Iannelli, sovrintendente per i beni archeologici presso la provincia di Vibo Valentia che ha evidenziato come «nel tempo, molti frequentatori del limitrofo lido hanno segnalato la presenza di vari reperti, per cui è stato necessario dare un impulso alla ricerca in questione». Il sindaco Pasquale Landro, infine ha dichiarato: «L’amministrazione segue con costante attenzione l’evolversi della ricerca. L’auspicio è che si possano creare le condizioni per un efficace e vitale turismo culturale». Due i soggetti che hanno finanziato il progetto: la Fondazione per la ricerca scientifica d’Austria e l’Università Federico II di Napoli, tramite il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, coi fondi Prin (Progetto ricerca di rilevante interesse nazionale). I rilievi geomagnetici sono stati effettuati dalla ditta Berlinese Eastern Atlas. Gli scavi già programmati interesseranno l’intera durata del prossimo biennio.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 5 settembre 2012, p. 30