Il 24 marzo è scomparsa la preside Rosalia Pisani, figura preminente nella cultura e nella società locale. La “vecchia” Zambrone, non dimentica la sua operosa iniziativa a sostegno della cultura e della scuola. Validissima insegnante prima e preside poi, insieme a suo marito (Michele Purita, scomparso tempo addietro) farmacista e professore di matematica, aveva retto le sorti della scuola media (ora secondaria di primo grado) di Zambrone per lunghi anni. In virtù di questo suo fondamentale ruolo ha formato le personalità d’intere generazioni di studenti preparandole alla vita nel migliore dei modi. Nel giorno del suo funerale (25 marzo 2011) il dottore Massimo L’Andolina, amico di famiglia da sempre, l’ha voluta ricordare con un elogio funebre riportato, di seguito, integralmente.
IN RICORDO DELLA PRESIDE ROSALIA PISANI
Quando Francesco Laganà, preside della scuola media statale di Zambrone, qualche anno fa, mi chiese di scrivere un ricordo della mia terza media, ho avvertito dentro di me una profonda emozione; in un attimo la memoria mi ha restituito immagini, volti, circostanze, profumi che pensavo fossero scomparsi per sempre. E allora…scava e scava: Barbieri Nicola, quanto ci manca Nicola, il tuo sorriso spontaneo, vero senza infingimenti; Canale Antonio; Casuscelli Raffaella; Cotroneo Francesco; De Carlo Raffaele; Grillo Domenico; L’Andolina Massimo; Landro Maria; Landro Pasquale; Mandaradoni Filomena; Morello Antonino; Muggeri Vincenzo; Varrà Carmela. Eccola la mia classe. Quanti ricordi, quante emozioni, quante speranze… Spesso, cari amici, mi chiedo che fine avete fatto. Credo tutto sommato, se percorro velocemente col pensiero quella che è stata la nostra vita fino a questo momento, che la sorte non sia stata così matrigna con i nostri anni; e, mi piace pensare che abbiamo realizzato molto di quello che pensavamo sarebbe stato il nostro futuro. Qualcuno è stato inghiottito dal Nord Italia, qualcun altro non ha più studiato, pochi si sono laureati, tutti hanno una famiglia. Ma soprattutto tutti viviamo del nostro lavoro. Cosa ricordo di quell’anno scolastico? Istintivamente, come un riflesso condizionato, associo la terza media ai miei insegnanti, ai compagni di scuola e a tanti piccoli episodi che col passare degli anni hanno acquisito, inevitabilmente, il fascino del ricordo e della memoria dei tempi andati. Per esempio, fu l’anno che smisi di indossare i pantaloncini corti,simbolo di costrizione materna; rivedo ancora lo stupore di Pasquale Landro, quella mattina che mi presentai in classe con un paio di pantaloni lunghi di velluto beige. «Era ora!» esclamò Pasquale, sorridendo- «mi sono sempre chiesto- aggiunse- come facevi a stare d’inverno con i pantaloni corti!». Era evidente che stavo diventando “grande” anche io. Naturalmente non mancavano come in tutte le classi momenti di ilarità. Ed ecco Muggeri, peraltro in eterno conflitto con Grillo, che non riesce in alcun modo, nell’ora di ginnastica a fare il dietro-front se non poggiando su entrambi i talloni; manovra impropria per la quale gli era difficile mantenere l’equilibrio rovinando regolarmente per terra tra le risa di tutti noi. E gli amori? Quelli poi indimenticabili. Amori che si esprimevano in una miriade di bigliettini clandestini passati col terrore che finissero nelle mani dei professori. Ma quello che caratterizzò quegli anni, oltre al cambiamento che inevitabilmente si sarebbe verificato da li a poco, è stata non solo la sensazione che tutto sarebbe stato diverso ma che per tanti anni a venire avremmo portato con noi quello che gli insegnanti ci avrebbero trasmesso proprio in quell’anno. Ricordo in particolare il professore Arena, insegnante di francese che amava tradurci in quella lingua le canzoni di Nada che poi cantavamo tutti insieme. O il professore di Applicazioni tecniche che, con vivo disappunto di tutti noi, era solito darci qualche improvviso scappellotto sul viso. O ancora il professore Michele Purita, soddisfatto con me perché in quell’anno andavo bene in matematica, sua materia d’insegnamento, dove negli anni precedenti avevo avuto qualche difficoltà. Ma non esagero a dire e non me ne vogliono gli altri insegnanti, che per noi ragazzi quello fu l’anno della professoressa Purita. La sua autorità, che nasceva dalla sua autorevolezza culturale e professionale, incuteva a noi ragazzi quel sano timore che ci spingeva a studiare e a rispettare scuola e insegnanti intesi come appendice di casa e famiglia. Nel nostro immaginario ella rappresentava quella che altri ci avevano tramandato come esempio di quella scuola fatta di severità, bacchettate, punizioni di ogni tipo, bocciature continue. In realtà avremmo capito, più tardi, come la professoressa Purita altri non era che un esempio di come la Scuola doveva essere intesa; luogo dove si imparava a crescere e si insegnava la vita e non un luogo dove si sprecava il tempo. E quante volte negli anni a venire risuonava nelle nostre orecchie l’eco delle sue parole «Cavour dimostrò che l’Italia doveva farsi non solo sul campo di battaglia ma usando diplomazia e intelligenza al tavolo di lavoro…». E ancora: «Gli Stati Uniti hanno sacrificato la loro migliore gioventù per salvare l’Europa dal nazismo e dal fascismo…». Poi anche quell’anno finì. Ma l’eco non si spense. E quando, anni dopo, tornavamo in vacanza dall’università, con quanta ansia e piacere andavamo a trovare la professoressa Lia per comunicarle i nostri successi, proprio come si fa con i genitori e le persone care. E il ricordo ancora oggi ci inorgoglisce e ci fa sorridere. Passarono gli anni e passarono anche per noi ragazzi… Negli ultimi tempi spesso mi sono recato a casa della professoressa per motivi professionali. In quegli incontri non si stancava mai di dare consigli; per lei eravamo sempre i suoi alunni e per noi lei la nostra professoressa. E anche adesso quando crediamo di aver fatto qualcosa di utile nella vita di tutti i giorni, nei rapporti con gli altri, sul posto di lavoro; sono convinto che in quel qualcosa di utile c’è anche il suo insegnamento. Qualche tempo fa mi sono recato a casa della professoressa per visitare suo marito, il professore Michele Purita. Uscendo, fui colpito da una immagine che non aveva bisogno di nessuna parola per essere commentata. Il professore Michele Purita stava seduto su una sedia con lo sguardo perso nella sua malattia. Lei, da dietro, teneva poggiate le braccia sulle spalle del marito, quasi a volerlo proteggere. Ho pensato che in quella immagine ci fosse impressa tutta una vita vissuta per bene.
Massimo L’Andolina