Musica
IL PRIMO CD DEL TRIO NAGRU’, FUSIONE DI POESIA E MUSICA CALABRESE
Cosenza (Cs) Il progetto Nagrù nasce dall’intento di Biagio Accardi, Nando Brusco e Oreste Forestieri di arricchire l’elemento identitario musicale calabrese. Nessuno sconto e nessun ammiccamento con una modernità che contamina anche la musica etnica e tenta di corroderla nelle fondamenta. Una zampogna travolgente, un tamburello dirompente, una pipita ipnotizzante. Nel loro primo cd, presentato pochi giorni fa, il trio Nagrù si avvale solo di antichi strumenti tradizionali calabresi, di un’abilità esecutiva di primario livello e di un meticoloso lavoro di ricerca nella letteratura calabrese. Il risultato è una miscela esplosiva ricavata dalle materie prime estratte dalla cultura coreutica e musicale etnica. Sapienza ed energia sono le due direttrici sulle quali si muove l’opera della band calabra. Il cd risulta autoprodotto e si inserisce in un quadro di ricerca promosso insieme all’associazione culturale “Cattivoteatro”. Il titolo risulta quanto mai emblematico: “A nascì e morì è na cantata”; una riflessione sul ruolo della musica nel percorso esistenziale degli uomini e delle donne calabresi. Dalla ninna nanna alla nenia funebre, passando per i momenti dell’innamoramento alla grande fatica per i lavori agro-pastorali. In “Strina” sono rievocate immagini di struggente romanticismo, tratte dal recente passato calabrese. Il brano “U metiture”, invece, è dedicato a una figura tipica della civiltà contadina. La composizione “Calavrisi jettati la sarma” del 1870, di Michele De Marco è sorretta da una struttura ritmica serrata che si abbina perfettamente al brano di protesta immediato e diretto del “Ciardullo”. Essa si interseca, poi, armonicamente, con un’altra poesia tratta dal genio di Vittorio Butera. “Bellizza mia” è il testo musicato di un’emozionante composizione poetica di Pasquale Creazzo. “Za Marianna” è una sonata classica popolare rielaborata con efficace originalità. Una sottile ironia caratterizza “L’ominu quannu si ‘nzure” che sviscera, con disincanto i mutamenti dell’uomo dopo il fatidico «sì». “Purvara e palli” rimanda, invece, al fenomeno del brigantaggio, controverso spaccato della storia ottocentesca. Stornelli antichi e moderni si fondono in “Donghi Dirididonghi”. Un dissacrante umorismo, segna la “Ninna nanna” finale. I versi più belli sono contenuti nella canzone “Quannu nascisti tu”, in cui le bellezze di una fanciulla calabrese vengono lodate con un lirismo che raggiunge vette altissime e recitano: «Figghiola cu sti ricci incannulati, trema la terra quannu li sciogliti». Con il cd “A nasci e morì è na cantata”, i Nagrù raggiungono un risultato sorprendente. Il confine tra poesia e musica è cancellato e l’opera sintetizza ed esalta una cultura che ha alle spalle molti secoli di storia. Grazie, Dio, per avere creato la Calabria…
Corrado L’Andolina