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Tradizioni sulla terra d'Aramoni
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di Diego Corso (1931)
Tradizioni sulla terra d'Aramoni
In un'epoca nella quale ferve l'ardore di rinvangare le cose passate, non tornerà discaro ricordare le tradizioni di Aramoni e delle frazioni adiacenti sparse fra le bassure dell'altipiano di monte Poro, presso al margine del fiume Lippo.
Il monte Poro, staccandosi dall'Appennino, si spinge a modo di sprone fra i due golfi di S. Eufemia e di Gioia-Tauro, formando una penisola che finisce col Capo Vaticano. Sulle balze occidentali di esso, nella linea del displuvio, il terreno, avvallandosi dolcemente, dà principio alla fiumara del Poro. Il fiume Lippo1 serpeggiando sul muscoso pendio, divalla gradatamente e presso le rocce di Liso2 va a congiungersi col ruscello di Passo murato, proveniente dalla fontana di Aramoni3.
Da quelle balze montane vien fuori la voce di un antico ricordo, che ha color di leggenda triste e malinconica, essendo state quelle gole, un tempo, liete di deliziosi villaggi, che animavano la solitudine delle ubertose campagne. Nel medio evo, tempo che non ebbe certezza storica, nel luogo ove tuttodì vedesi la fonte di Aramoni, ombreggiata ancora da un arcisecolare caprifico, era situata la terra di Aramoni, accantonata su di un ciglione della valle omonima4. Nella barbarie di quei tempi oscuri, quel nido di falco era divenuto un covo di masnadieri e di fuorusciti.
Gente di armi venuta ad occupare nel 1292, da parte degli Aragonesi il castello di Mesiano, come mosche volate dal mondezzaio sociale, portarono seco il fermento della putredine, avvelenando la gente indigena, formata in gran parte di pastori e di contadini, solo col posarsi in mezzo ad essa. Ferveva la guerra di Sicilia fra Angioini ed Aragonesi e le rappresaglie di quel periodo non furono conte nella storia di quel tempo, piena di lacune e di leggende. Occupato il castello di Mesiano, chiuso da un fitto mantello di boschi vigorosi, quella gente si era annidata dappertutto, soprapponendosi a quei popoli avviliti e debellati. Come schiera che corra senza freno, si sguinzagliarono fra i nostri paeselli rovinando tutto, schiacciando e distruggendo persone e cose. Questo stato di anarchia e violenza crebbe per la carestia e penuria dei viveri, durante quelle calamitose guerre. Collegatisi coi naturali delle convicine terricciole, giovandosi delle fratte e boscaglie che coprivano l'acrocoro, speculando sulla incoscienza di quelle grame popolazioni, senza industrie e senza vie, intrapresero una campagna di furti e di rapine coll'aggredire i viandanti e collo spogliarli impunemente sotto pretesto di fellonie e di guerra5. Gente malnata e sanguinaria, triste genia dei Berberi e delle isole Baleari, venuta in Sicilia al servizio degli Aragonesi, sosteneva con malvagia intenzione e fierezza che, il furto era il più giusto mestiere tra la frode e la rapina, ed ove non si riuscisse a campare la vita, era necessità accoppare la gente, che vive a modo dei Grandi6. La fitta boscaglia nascondeva i loro delitti e le orme di quei facinorosi, che dopo aver rubato, violato ed assassinato i malcapitati passeggeri, colti od assaltati per inavvertiti tranelli, si disperdevano fra le macchie ed i viottoli della selva per dividersi la preda.
Con un'audacia ed una violenza crescenti consumarono parecchie rappresaglie quei tristi, dei quali eran note le fellonie e le fazioni7. Essi mantenevano in grande allarme e spavento le popolazioni delle borgate vicine. Molte suppliche con continuati lamenti mossero Carlo II a reprimere il furore di quell’orda brigatesca ed ai clamori delle nostre Università, emise ordine fossero banditi nelle isole Lipari i capi di quelle masnade e di costruire un fortilizio a guardia di quelle terricciole, il quale venisse presidiato da aguzzini e gente di arme8. Sopite alquanto quelle fazioni pel bando di Carlo alle Università di Mileto, di Nicotera, di Tropea, e di Mesiano, nonchè a tutti i baroni delle terre convicine di custodire i valichi di Monte Poro; i passi pericolosi e le strade sospette dei malandrini9, la sorveglianza venne affidata ad ufficiali speciali, detti custodi dei passi. Grande interesse spiegò Re Carlo per la sicurezza delle strade, prescrivendo agli abitatori di ogni Terra o Città che fosse, di prestare aiuto ai viandanti, ed in mancanza fossero tenute a risarcire i danni, che per difetto di vigilanza venissero inferiti dai grassatori. In seguito questa custodia venne data ai pedaggieri, i quali, per la poca solerzia rendevano i viaggiatori esposti alle insidie dei masnadieri. Soventi erano dessi che tendevano gli agguati, aggirandoli proditoriamente per sentieri tortuosi con allontanarli dai centri rurali, per attirarli nelle insidie.
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In quel torno di tempo (an. 1303-1334) fiere discordie si erano accese nella cittadina di Tropea tra le nobili famiglie dei Ferrucci e Numicisi, alle quali altre si erano alleate per aderenze e parentela. Non era trascorso gran tempo che il milite Pietro Ferrucci, caduto in agguato presso Aramoni, venne trucidato da quella fazione spalleggiata e diretta da Bartolomeo Rahone, partigiano dei Numicisi10. Ad un tratto il fratello del Ferrucci, di nome Giovanni, anch'egli milite, venne con infame tradimento depredato ed assassinato. Questo nuovo misfatto destò grande orrore in Tropea e fece montare in ira i Ferrucci, i quali si accattivarono le genti di Caruponi, di Bellonio e di Macrone, coi guardiani dei passi del castagneto, presso le creste di Monte Poro. Anche gli avversari si posero alla vedetta, sostenuti e protetti dalla fazione di Laudanico, ch'era formata dai malviventi di Bordonadi e di S. Donato11.
Non occorre fare i nomi dei capi di quelle fazioni e masnade registrate nel libro nero della questura calabrese di quei tempi, lasciate giustamente in oblio per la moralità dei popoli civili. Dirò solo che ai clamori dei nostri popoli Roberto si scosse ed informato delle perfide macchinazioni e brighe private, ordinò il bando per tutti i facinorosi, masnadieri ed altri inquisiti nella isola di Strongoli, fino a quell'epoca nota come nido di pirati. Indi affrettossi a spedire in Calabria un forte corpo di cavalli e di fanti sotto la scorta dei due capitani Gilberto Centeglies e Simone Beauju con affidare al valoroso Ruggiero di Sambiase il comando e la custodia delle terre di Calabria12.
Cercò ogni mezzo per indurre le parti offese alla concordia, inviando in Tropea il Giustiziere di Val di Crati e di Terra Giordana con ampi poteri ad persequendum, capiendum et puniendum eos con sentenza di fuorgiudica13.
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Mentre tali deplorevoli fatti scompigliavano le nostre regioni, un grido di guerra echeggiava da un monte all'altro, da una valle all'altra. I masnadieri traendo profitto delle guerre di Sicilia, ripullularono a dismisura. Grotta di favo, quella delle Fate, i petti dell'acqua fredda, quelli di Brattirò, le creste di Civano e di Landanico, risuonarono di sinistre grida, di sanguinose vendette14. Ad un tale di Mottafilocastro, di buona famiglia ritenuto dalla masnada come loro spia, e riconosciuto come l'uccisore del fratello di uno dei banditi, venne immediatamente troncata la testa, che, posta in un sacco con lupini, venne trasportata in Mottafilocastro e gettata nella piazza presso il tocco. Poscia da quella turba ubbriaca d'ira e di ferocia venne spinta a calci per le principali vie del villaggio destando negli abitanti orrore e raccapriccio.
Tralascio il racconto di altre scelleragini e dirò come le nostre popolazioni, non potendo sopportare questo stato di anarchia e di violenza, vennero nella determinazione di metter fuoco ai boschi dell'altipiano e distruggere ogni asilo ai fuorusciti. Fu un tacito accordo ed una giustificata misura. Era necessità che la umana convivenza venisse rimessa sulle basi naturali dei propri diritti, ed esse trovarono questo mezzo per rendere aperta quella campagna, ch'era divenuta un asilo inespugnabile al mal fare. Riuscita vantaggiosa alle Università circostanti la distruzione dei boschi di monte Poro, con unanime azione adirono la regia udienza, e Re Roberto compenetrato della urgenza ordinò il bando per tutta la gente sanguinaria e di radere al suolo il caseggiato. Si dette libera uscita a coloro che vollero rifugiarsi presso i loro congiunti nei villaggi convicini, coll'obbligo di mantenere illibata condotta, dando malleverie di persone probe e conosciute. Ai pregiudicati fu data la pena del bando. Di questi, alcuni andarono ad allogarsi nei villaggi di Zungri, di Zambrone e di Zaccanopoli, che la tradizione, secondo alcuni, vuole fondati dagli stessi espatriati, secondo altri, si crede che già esistessero, e che venissero da loro scelti per rifugio, essendo che detti villaggi principiando colla lettera Zeta, offrivano un sicuro mezzo a potersi conoscere. Un piccolo drappello non volle muoversi dal luogo natio, e questo venne discacciato a viva forza dagli almugravi15 inviati sul luogo per distruggere il caseggiato ed ogni altra cosa col ferro e col fuoco.
Quella misera gente ricoverossi nella collina circostante Spilinga, dove si acquartierò formando il villaggio di Carciadi sulla prima metà del secolo XIV. Quest'ultimo drappello dai naturali delle borgate convicine viene conosciuto col nomignolo di Càcciati, ingiuria ovvia e comunissima in quei dintorni.
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Molti scrittori accennano alla discendenza calabrese degli abitanti dell'isola di Strongoli, e tra gli scrittori di geografia vi è il Reclus, che dice aver raccolta questa tradizione dagli abitanti di Strongoli. La tradizione costantemente tramandata da padre a figlio, ne attesta la veridicità. Massima prova sono la omonimia dei cognomi delle famiglie dimoranti in Strongoli ed altre isole Eolie con quelle di Carciadi, di Spilinga, di Zungri, di Zambrone e di Zaccanopoli, nonchè la ingenita debolezza, oggi del tutto corretta, di appropriarsi la cosa altrui per atavismo.
Distrutta Aramoni, devastati i villaggi adiacenti, i beni di quella chiesa passarono a quella di Zungri, come anche la campana sulla quale tuttavia si legge: Aramon !...
Unico ricordo che sopravvisse al fato di quel paese !...16.
NOTE
1 Lippo da li,poj, grassume proprio del musco che nasce sulle pietre o luoghi umidi.
2 Liso da liqoj, pietra, sasso.
3 La voce Aramoni da 'Aramada. fessura, spaccato, è proprio la valle omonima, che dà il nome al diruto paese. Potrebbe farsi, derivare da 'Aragmo,j con forma locale mone (mw''n, no,j) che suona fragore, strepito, ecc., non contrario alle acque che rompono fra gli scogli e ciottoli.
4 Cfr. A. PELLICCIA Stat, delle acque fluenti, ecc., Nap. 1836, pag. 8 e 26.
Notizie Archeol. e Storia di Portercole e Tropea, scritte dal Cav. N. SCRUGLI, Nap. 1891, pag. 36, 37.
5 Mesiano era situata sopra un colle isolato, in mezzo all'ondulato altipiano del Poro.
La parola Poro da po,roj, valico, tragitto, passaggio; nel medio evo valse anche selva, foresta, bosco, come si rileva da Regesti di Papa Alessandro
III.
6 Accoppare la gente valeva sgozzarla, assassinarla e porla sotterra, piantandovi sopra ortaglie.
7 Le fazioni prendevano nome dai luoghi dai quali avevano origine. Esse erano tre, cioè, quella di Aramoni; quella di Landanico e quella di Caruponi. Quella di Aramoni perlustrava il centro del Poro, dalla fontana di Bandino al Capo Vaticano, dai petti dell'acqua fredda alle coste della fiumara del Poro, comprese grotta di favo e quella delle fate. Quelle di Landanico del monte, o;roj landanico,n dalanqa,nw (covo di ladri); era formata dai naturali di Sannàto o S. Donato, e da quei di Bordonati, Boqunoj = Boqroj (fossa o fossato). Essa invigilava la costa a mezzodi di Monte Poro, dal villaggio di Coccorino o Mottafilocastro, compresi Caroniti, Comerconi col passo della Puzzetta e Mandaradoni col petto della guardia. Quella di Caruponi, da Karopo,j belmonte o montebello formato dai naturali di Macrone e di Bellonio, invigilavano il versante Nord-Est da Mesiano a Capo Zambrone compresi i villaggi di Zungri, Zaccanopoli e casali adiacenti, oggi in gran parte diruti.
8 La torre venne fabbricata sul confluente delle due valli, formanti la fiumara del Poro, nel luogo detto la torre di Liso di prospetto alle Terre di Aramoni ed a Nord di Bordonadi e di Sannato o S. Donato.
9 Ex Reg. Caroli II an. 1303. Lit. A. - Capitula mag. passuum, edict. contra latrones, ecc. A questa epoca si riferisce il Dec. di Carlo II, il quale ordinava si distruggessero i Rombolà (Toti Rumbuli deleantur ecc,) quali assassini e masnadieri pei fatti atroci consumati a danno dei passeggieri e viandanti, che dopo derubati e feriti venivano crudelmente bruciati nelle gole della montagna. Un solo bambino di tre anni scampò alla strage, che allevato in altro villaggio lontano, in prosieguo fu il progenitore dei diversi rami di Rombolà esistenti nella regione.
10 <<Bartolomeus de Rahone est inquisitus cum aliis de Aramoni de nece Petri Ferruccii de Tropea, militis ecc.>>. Questo transunto del Cav. Bonito M. è troppo laconico e nessuna traccia lascia della congiura, ordita dal Rahone.
11 La storia del brigantaggio rimonta alle guerre servili combattute con tanto coraggio sui nostri monti. Il Medioevo e la dominazione Spagnuola potrebbero servire di base a chi volesse imprendere uno studio accurato e forse nel buio di tante colpe e di tanti delitti risplenderebbe qualche nobile e patriottica idea.
12 Confisi de constantia fide, sufficientia, et strenuitate personae Rogerio de Sancta Blasis militis, familiaris sibi Capitaniam et custodiam Terrarum multarum Calabriae commisimus ecc. V. M. Camera, Ann. del Regno di Nap. Vol. 2 pag. 220.
13 Si ignora il nome di questo giustiziere e se fosse riuscito nello scopo di calmare le parti offese, come del pari s'ignora l'anno in cui fece dimora in Tropea.
14 <<Oltre le guerre civili che bollivano nel territorio di Tropea e di Mesiano, i Catalani per mare facevano man bassa sui pacifici cittadini non risparmiando nè sesso, nè età, e soprattutto il gran danno arrecato ai naviganti ed ai mercanti derubati ed uccisi. Roberto dispose da dieci a quindici galee armate, che durante la stagione estiva stessero per custodia e difesa delle coste di Calabria, guardando dalla pietra di Roseto <<usque Cutronem contribuant per galeas quinque et ex ista parte meridiei a Terra Speluncae (Spilinga e suo territorio) usque Tropeam, aliae galeae quinque de simili contributione fienda per fideles nostros Iustitiariatum?... ac aliarum partium Calabri e ecc. - Neapolis 23 aprilis 1334 - Ex Reg. Roberti An. 1333-1334 - Cfr. Camera An. C. pag. 395.
15 Si ha dalle istorie, che Tropea in quel torno di tempo era per gli Angioini mentre Mesiano e casali stavano per Pietro e poi per Giacomo e Federico di Aragona.
Trattandosi di tradizioni remote, non è agevole veder chiaro, anzi è facile prendere abbagli, poichè le passioni politiche di quell'età variano col variare delle posizioni e dei partiti, nè faccia meraviglia se gli almugravi avessero apportato la rovina e la devastazione a quel paese e suoi dintorni, quando si conosce che questo corpo era un miscuglio di mori e di cristiani della peggior lega il quale era terribile ai nemici ed agli amici, e per speciale privilegio di quel corpo di milizie non era responsabile, nè dava conto del suo operato.
16 Quanto abbiamo scritto è semplice tradizione dei luoghi da noi visitati nello esercizio professionale avvalorato in qualche punto da note desunte da memorie, mss e dai Regesti degli archivi angioini, i quali mentre danno qualche sprazzo di luce su i fatti di quella epoca non sono però sempre consoni colle tradizioni dei luoghi in esame.
Il Sgr. Luigi Corsi da Firenze, pittore di paesaggio, al racconto di queste tradizioni ha voluto vedere de visu le grandiose foreste dell'Aspromonte ed ispirandosi alle impressioni provate, tratteggiava un quadro meraviglioso per unità di concetto, per forza di disegno e per intonazione di chiari oscuri, di ombre e di sfumature. La naturalezza del dipinto vi attrae, massime il gruppo dei soldati, che traducono in arresto due delinquenti. Venne pubblicato nell'Ateneo Religioso di Torino nell'anno 1879, p. 69.
Associazione culturale Aramoni - Storia e tradizioni del popolo di Zambrone
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