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Anno 2009
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Elezioni rapporto occasionale
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Editoriale
Elezioni rapporto occasionale
Con aria scanzonata e leggiadra, Lucio Battisti cantava le vicende di un rapporto occasionale in questi termini: «Che sensazione di leggera follia, sta attraversando dentro l’anima mia stasera…». Il motivo, decisamente orecchiabile, ritorna in mente perché offre il la per descrivere la relazione intercorrente tra gli elettori vibonesi e le urne. L’atteggiamento di chi deve recarsi nella cabina elettorale è circospetto e guardingo. Ci si appropinqua al seggio con la stessa sacralità con cui un tempo si entrava nelle case chiuse. Eleganti, profumati, capelli e barba rigorosamente in ordine. Lì, s’incontra una severissima ordinatrice, la “Presidente”, attorniata da lavoratori e lavoratrici super precari. Finalmente l’incontro tanto agognato, quello con l’urna che nell’immaginario collettivo, chissà perché, è donna. Retaggio di una becera cultura maschilista? Quel “donna”, infatti, non è riferito al sostantivo in questione, piuttosto alla sua connaturata capacità di tradire. Ma a ben pensarci, il vero autore del tradimento, il “femmino” della circostanza è lui, l’elettore. Il suo consenso è stato promesso a dieci “raccoglitori” di voti, che nel tempo, sciaguratamente, hanno sostituito quelli che venivano definiti “capipopolo”. A tu per tu con la scheda, accolto nelle fauci deliziose della cabina elettorale, il potente guardiano della democrazia decide chi e in che termini tradire. Contento e soddisfatto come una Pasqua esce da questo luogo magico, rinfrancato e certo di avere fatto la cosa che più lo soddisfaceva. Quatto, quatto, mogio mogio, se ne torna così a casa, dove c’è una moglie isterica che borbotta perché nemmeno di domenica si riesce a mangiare a un orario cristiano. Come se non bastasse ci sono due pargoli che si accapigliano e urlano con la stessa potenza vocale della Callas. A questo punto, quei pochi rimorsi che lo hanno accompagnato durante il tragitto del rientro, scompaiono. La paura di essere scoperto, però, si tramuta in angoscia. Cosa penserebbe la “ggente”? Urge approntare un piano. Primo punto, sforzarsi di essere sereno, anche se il cuore palpita a trecento all’ora. Secondo, dopo la pennichella pomeridiana, andare al bar del paese per offrire qualche caffè e spettegolare sulle scelte degli altri. Terzo, recarsi dal barbiere che notoriamente è informato sul gossip locale seduta stante. La sensazione di essere braccato è forte. Ancor più quella di essere scoperto. «Ma no, impossibile -pensa e ripensa il custode fedele della democrazia- ho preso tutti gli accorgimenti del caso». Sarà, ma il dubbio esiste e persiste. Il paese è piccolo, la gente mormora e l’onorabilità non può essere infangata da un crudele sospetto di tradimento. Ma il vero punto è proprio questo. Come si fa ad avere con l’urna un rapporto così fugace e superficiale? Come si fa a maltrattare e usare una così fantastica creatura per scopi di bassa macelleria? Com’è possibile scaricare su di essa frustrazioni e istinti di avidità? Un’altra gigante della musica leggera italiana, Mina, avrebbe sentenziato: «Parole, soltanto parole, parole tra noi…». Già, parole soffocate e mai dette, addirittura stoppate sin dalla loro primordiale elaborazione. Un rapporto occasionale non ha bisogno di particolari spiegazioni. Si consuma per egoismo sfrenato e delle conseguenze non importa niente a nessuno. L’orizzonte è cupo e quindi, meglio acchiappare quel che si può. Tutto sommato, a ben pensarci, anche questo ennesimo tradimento fa parte del dejà vu. Meglio andare a letto e non pensarci più…
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 13 giugno 2009, p. 38
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