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L'anima della Calabria contadina
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Lindo Nudo
L'anima della Calabria contadina
(Da “Scillecariddi”, maggio 2001)
Saverio Strati
Non si viaggia solo per fuggire, si viaggia anche per curiosità, per spezzare l’isolamento. Quand’ero ragazzo anche una corsa in macchina da Bianco a Locri costituiva un evento, la possibilità di scoprire cose nuove. Questo bisogno ritengo sia anche legato all’isolamento di cui la Calabria ha sempre sofferto dopo lo splendore del periodo magnogreco che ha visto il fiorire intellettuale di centri come Crotone, patria della prima scuola medico-scientifica dell’antichità; dai Romani in poi la Calabria è rimasta abbandonata a se stessa: i grandi personaggi calabresi, penso, per esempio a Gioacchino da Fiore che ha anticipato le tre cantiche dantesche, hanno seminato un frutto che non è germogliato nella nostra terra.
Definirei la calabresità un misto di ostinazione, lealtà, rancore e senso altissimo dell’onore. L’uomo calabrese ricorda le offese e non le perdona, mantiene ad ogni costo la parola data e non conosce l’abbandono o la rinuncia, pensiamo a Campanella e alla sua caparbietà durante gli anni del carcere!
Sì, la Calabria è cambiata, ma in peggio. Noi stiamo purtroppo assistendo al tramonto di quella millenaria cultura calabrese, figlia della civiltà contadina e preservata dal popolo, che costituiva il bagaglio più prezioso della nostra terra; stanno scomparendo irrimediabilmente gli antichi saperi legati alla conoscenza della natura, al ciclo delle stagioni, ai vari mestieri, alimentati dall’esperienza diretta delle cose; questo insieme di sapienza popolare e senso altissimo dell’onestà e del sudore, di stampo quasi omerico, veniva tramandato ai ragazzi che come me avevano sete di conoscenza, volevano imparare a leggere e scrivere ma anche a dissodare la terra, appaiare le giovenche, seminare, capaci ancora di stupirsi di fonte alle cose più semplici.
Non parlerei esclusivamente dei giovani calabresi. La conoscenza dei ragazzi di oggi ha i suoi cardini nella Nutella e nella televisione, le nuove tecnologie, di fronte alle quali mi sento analfabeta, paralizzano i pensieri, azzerano l’esperienza diretta delle cose – secondo Kant l’unica vera fonte di conoscenza – e poco alimentano la creatività. Ritengo seriamente che la meccanicità insita nei nuovi processi di conoscenza dell’era tecnologica conduca ad un livellamento della cultura, ad un’omologazione del pensiero, impedendo così lo sbocciare di grandi personalità originali.
Associazione culturale Aramoni - Storia e tradizioni del popolo di Zambrone
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