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Anno 2007
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Il socialismo di Turati
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Editoriale
Il socialismo di Turati
Filippo Turati nacque il 26 novembre 1857 a Canzo, nel cuore della Lombardia. Due gli incontri fatali: con Anna Kuliscioff e col marxismo. Con il primo deputato socialista italiano, Andrea Costa, condivise l’amore per la stessa donna, “La dottora dei poveri”. Però se ne differenziò profondamente per impostazione ideologica e prassi politica. Impetuoso, istintivo, imprevedibile, Andrea Costa, ragionatore, strategico e composto, Filippo Turati. Costa si mosse, a lungo, nell’ambito di una visione anarchica e bakuniniana dell’azione politica, Filippo Turati, invece, interpretò e rielaborò l’ideologia marxista. L’intuizione riformista di Andrea Costa venne sapientemente e razionalmente sviluppata e articolata da Filippo Turati. Nel 1892 fu il fondatore del Partito socialista dei lavoratori italiani, poi Psi e gli diede un’organizzazione efficace, lontana dal centralismo del Partito socialdemocratico tedesco, elaborò l’idea di un partito movimentista e “leggero”capace di essere il terminale delle varie associazioni di riferimento: società di mutuo soccorso e leghe di resistenza. Una bella lezione da attualizzare. Fu anche un grande giornalista. Fondò e diresse “Critica sociale” periodico di analisi politica che aveva la funzione di creare una coscienza di classe all’interno del proletariato italiano. Si adoperò per scongiurare “I moti del pane di Milano” repressi nel 1898 nel sangue da Bava Beccaris. Nonostante ciò l’autorità giudiziaria non perse l’occasione per rinchiuderlo in prigione. Evidentemente l’uso politico della giustizia ha radici profonde. Rimase in carcere solo pochi mesi e poi venne liberato grazie a un’amnistia. Non mancò di realismo politico, definendo Giolitti: “L’unico uomo di governo serio che abbia la Camera”. E in occasione della Prima guerra mondiale insistette più sul “non sabotare” che sul “non aderire” delle celebre (e infelice) parola d’ordine dei socialisti. Dopo la scissione di Livorno da cui nacque il Partito comunista italiano, fu espulso dal Psi, in ossequio a un cinismo meschino di matrice prettamente italiota. Diede pertanto vita nel 1922 al Partito socialista unitario. Dopo il delitto di Giacomo Matteotti avviò una concreta attività di contrasto al fascismo. Per fuggire dalla persecuzione del regime riparò in Francia dove si adoperò per la nascita di una concentrazione antifascista. Nel 1930 fece il miracolo di riunificare il Partito socialista italiano. Da esso, rimasero fuori solo i comunisti, incanalati sulla via marxista-leninista. Fu avversato dai comunisti italiani perché considerava le loro mire rivoluzionarie velleitarie. La storia, a tale proposito, ha emesso il suo insindacabile verdetto. Detestato dai fascisti, perché giudicato il maestro di gente del calibro di Sandro Pertini, ovvero dei più pericolosi oppositori al sistema. Anche i Repubblicani lo avversarono, perché si rifiutò di sottoscrivere la cacciata del Papa e delle istituzioni ecclesiastiche della futura Italia liberata. Un magistrale insegnamento di tolleranza e laicità estremamente attuale. Nel Psi ebbe moltissimi nemici, soprattutto tra i rivoluzionari e i massimalisti. Anche su quest’ultimi la storia si è abbondantemente pronunciata. Turati può essere considerato il padre del socialismo riformista e democratico italiano ed europeo. L’ispiratore di un metodo di governo e di un umanesimo pragmatico senza precedenti. Egli ha trionfato. In Italia, oggi, tutti si definiscono “riformisti”. Considerano però quasi un’offesa personale quella di essere etichettati come socialisti. Eppure, “riformismo”, disgiunto dal sostantivo “socialista” non significa nulla. Altra anomalia, l’Italia è rimasto l’unico Paese d’Europa privo di un Partito socialista. Praticamente un insulto alla storia. Il socialismo dal volto umano di Turati ha consentito a milioni di donne e di uomini di uscire dalla condizione di emarginazione. Subì i mali endemici del socialismo italiano: frazionismo, correntismo, scissionismo, estremismo. Personificò al meglio le sue virtù: coerente, lungimirante, a anticipatore dei tempi. Visse il presente con saggezza politica e anticipò il futuro con straordinaria preveggenza. Insomma, fu realista e visionario al contempo. Egli scompare a Parigi il 29 marzo 1932. Echeggiano i dolcissimi versi del “Canto dei lavoratori” scritti di suo pugno e custoditi gelosamente nei cuori della gente che ama la libertà: “Su fratelli, su compagne,/ su, venite in fitta schiera:/ sulla libera bandiera/ splende il sol dell’avvenir”…
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 26 novembre 2007
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