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Anno 2006
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La balena bianca
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Editoriale
La balena bianca
Il ritorno dl vecchio neocentrismo
C’ERA UNA VOLTA LA BALENA BIANCA…
C’era un tempo la cosiddetta “Balena Bianca”. Il nobile e buono mammifero, era diventato chissà per quale ragione, certamente senza il suo consenso, il simbolo della Democrazia cristiana. Il partito che ha dominato la scena politica per oltre mezzo secolo in Italia e, soprattutto, in Calabria. Per sommi capi si può affermare che la prospettiva ideologica e politica della Dc fosse corretta. Strategicamente, i fini perseguiti non sempre sono stati giustificati dai mezzi adoperati. L’area del Vibonese era spesso definita come “feudo bianco”. Il vocabolo “feudo” era usato in modo appropriato. Esprimeva un modo d’intendere l’agire politico in cui i rapporti erano, appunto, di subordinazione feudale, secondo lo schema piramidale tipico di quell’età: una base di manodopera senza costi, numerosi valvassini, meno valvassori, i vassalli referenti e il principe, normalmente operante in città che, di tanto in tanto, si concedeva qualche visita nei villaggi. Tutti i rappresentanti locali della Balena Bianca hanno sempre sbandierato il loro indefesso impegno per migliorare le sorti del Vibonese. E qualcosa effettivamente si è mosso. Stranamente, però, dopo cotanto lavoro e lavorio di menti eccelse, la provincia di Vibo Valentia continua, implacabilmente, ad essere l’ultima d’Italia, per qualità della vita e dei servizi. Le bramosie del potere hanno in realtà indotto i rappresentanti nazionali della Balena Bianca a considerare sempre la Calabria e il Vibonese in particolare, come un sicuro serbatoio di voti, dal quale attingere senza porsi troppi problemi. La vittoria sul comunismo poteva anche valere qualche piccolo sacrificio delle coscienze. A distanza di tanti lustri, nel Vibonese il tempo sembra essersi maledettamente bloccato come per maleficio e ciò nonostante la provincia sia diventata una delle più “rosse” d’Italia. In questo lembo d’Italia (?) è ignorato il significato di: “moderato”, “conservatore”, “neocon” etc. Qui i cittadini sono tutti (o quasi) diventati “progressisti” e di sinistra. Balza immediatamente agli occhi un paradosso: l’impalpabile, amorfo e ignavo centro-destra non costituisce un pericolo alla stessa stregua del comunismo. Eppure, nonostante questo apparentemente radicale cambiamento, l’atteggiamento della classe politica non è niente affatto mutato. La regione è vista come un luogo prolifico, dove l’operato di una classe dirigente di sinistra continua a mietere successi su successi. Peccato, però, che a questi balzi elettorali non corrisponda, di pari passo, crescita, sviluppo, legalità, occupazione. Ciò che è grave è che la ricerca del consenso non conosce più alcun limite. Si è perso il senso della misura. Non c’è nemmeno il collante ideologico e la lotta contro la barbarie comunista a giustificare la sfrenata e cinica caccia al voto. Nel corso della recente festa dei giovani di Sinistra si è svolto a Capo Vaticano un interessante dibattito sulla “legalità” (una parolina, è sempre utile ricordarlo, che in Calabria è beffarda e magica al contempo). La discussione ha visto la partecipazione di politici, amministratori e dirigenti di prima qualità. Dal convegno sono emersi spunti importanti e utili al dibattito politico sulla criminalità. Poi, però, a distanza di poco tempo, c’è stato l’intervento di un autorevole esponente nazionale, che di fronte a un Consiglio regionale imbarazzante, a un’Amministrazione Provinciale che dopo due anni e mezzo non ha ancora trovato un assessore al Turismo (alla faccia della specifica vocazione espressa dalla costa degli dei), si è impantanato su: “errori giudiziari”, “rilancio del Sud”, “strategie di sviluppo”, “sinergie istituzionali” e banalità di questo genere. Insomma, le analogie con l’epoca della vecchia Balena Bianca sono davvero tante, troppe. Una domanda sorge spontanea: il Vibonese si è trasformato da “feudo bianco” in “feudo rosso” ? Quanti amano veramente questa sempre più martoriata e umiliata Terra auspicano una risposta negativa. Altro che “feudo” qui c’è bisogno di una rivoluzione che sia, innanzi tutto, culturale. C’è la necessità di stravolgere usi, prassi e malcostumi politici e istituzionali e spalancare le porte “alla forza della ragione, contro le ragioni della forza”, tanto per citare un grande socialista che si chiamava Salvador Allende, presidente del Cile democratico agli inizi degli anni ’70 e come auspicio che qui, alla fine, qualcuno perda la pazienza.
Corrado L’Andolina
Avvocato e studioso socialista
Pubblicato su Calabria Ora il 26 ottobre 2006
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