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Inaugurazione della Chiesa di San Carlo Borromeo
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Edificio di culto
Inaugurazione della Chiesa di San Carlo Borromeo
Buonasera a tutti. Saluti e ringraziamenti. Un deferente ossequio alle autorità religiose, civili e militari. Permettetemi un saluto straordinario per Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Attilio Nostro che per la prima volta in veste ufficiale si reca nel nostro capoluogo. Benvenuto! Noi crediamo in un rapporto proficuo e di collaborazione con le istituzioni ecclesiastiche per fare crescere e progredire la nostra comunità. Un grazie a padre Luigi Scordamaglia. Dovrei impiegare tutto il tempo a mia disposizione per esprimergli la gratitudine e la riconoscenza mia personale e dell’intera comunità. Posso solo affermare che è un religioso che coniuga mirabilmente alcune peculiarità: dimensione spirituale, senso artistico, dolcezza di animo. Un onore e una grazia averlo avuto come pastore e ancora c’è qualcosa d’importante da realizzare, quindi, lunga vita e lunga permanenza a Zambrone per padre Luigi. E un grazie a Sua Eccellenza Monsignore Luigi Renzo che ha avuto un ruolo chiave nell’opera di restauro dell’edificio di culto dedicato a San Carlo Borromeo. A lui, la gratitudine e l’affetto mio personale e dell’intera comunità. E un grazie, infine, alla comunità per il suo generoso e fattivo contributo all’esecuzione dell’opera di restauro. Detto delle Ande. “Da qualche parte, sulle Ande, credono ancora oggi che il futuro sia dietro di te. Arriva alle tue spalle in modo sorprendente e inaspettato, mentre il passato sta sempre davanti ai tuoi occhi, è già accaduto. Quando parlano del passato, gli uomini del popolo degli Aymara indicano con la mano davanti a sé. Vai avanti col viso rivolto al passato e ti giuri indietro verso il futuro”. (Tratto da “Cronorifugio” di GeorgiGospodinov). Passato, futuro e… presente. Si restituisce alla comunità l’edificio di culto religioso e per questo nuovo incipit, quale metafora sarebbe stata più appropriata, se non quella di un popolo lontano, alla cui nazionalità appartiene l’attuale Sommo Pontefice? Di fronte a noi c’è l’edificio di culto dedicato a San Carlo Borromeo. Innanzi agli occhi di noi tutti appaiono immagini di cari familiari e amici chi non ci sono più, frammenti di antiche feste patronali o di momenti lieti e dolorosi. Alle nostre spalle c’è un futuro pronto a prendersi la scena e ad essere protagonista, insieme a noi, dei giorni e degli anni a venire. Ma è un futuro che ha una bussola: l’edificio di culto appena restaurato. Quando ci allontaniamo dal nostro paese, proiettandoci in un nuovo viaggio o in una nuova esperienza, allontanandoci dal nostro paese ci viene quasi naturale volgere lo sguardo verso l’edificio di culto. E quando fissiamo lo stesso edificio ritornano alla mente frammenti, ricordi e momenti di vita vissuta. È l’eterna dialettica fra futuro e passato. E in questa perenne dialetticasi dipana il presente, la quotidianità, con il suo carico di gioie e di sorprese, di dolori e di speranza. Bios.Un presente che qualcuno chiama anche bios. Ed esso non si risolve nel suo curriculum vitae, non riguarda ciò che gli capita, bensì il mondo in cui vive. I due generi di vita, vita activa e vita contemplativa, riecheggiano l’Etica di Aristotele, a sua volta percorsa da Platone. E questi due momenti, così apparentemente separati, trovano una sintesi proprio nella vita che ruota intorno alla chiesa. L’anima della comunità. Qualche giorno fa un anziano concittadino mi ha detto: “Finalmente il paese si riappropria della sua anima”. Ed è proprio così. Perché l’anima di un paese è data da elementi materiali ed immateriali, dal suo sapere, dai suoi valori e dal suo culto. L’edificio religioso esprime queste due componenti in modo unico. C’è un elemento spirituale che ognuno di voi vive alla luce del Vangelo e sotto la guida del suo Pastore. E c’è un elemento fisico, un riferimento tangibile. I due elementi risultano certamente intersecati. Pisside. Quando è stato proposto di offrire un oggetto sacro, al gruppo Identità e futuro per Zambrone di cui faccio parte insieme ai consiglieri di maggioranza, si è optato per la Pisside. Ci è venuta in mente la tradizione ebraica. Il Tabernacolo nella religione ebraica fu il santuario portatile degli Ebrei durante la loro peregrinazione nel deserto e durante i primi tempi della loro permanenza in Palestina, fino a che fu costruito da Salomone il tempio di Gerusalemme. Insomma, in questo lungo attraversamento del deserto, gli Ebrei non vollero rinunciare alla loro anima. E anche noi (io, Enza Carrozzo, Carlo Ferraro, Marcello Giannini, Nicola Grillo, Romana Grillo, Salvatore Grillo, Mariana Iannello) abbiamo avvertito la necessità di partecipare, nel nostro piccolo, al processo di restituzione dell’ “anima” di questa comunità. Mi viene in mente Benedetto Croce: “Perché non possiamo non dirci cristiani”. La rivoluzione cristiana, per il pensatore Abruzzese, rappresenta infatti un evento unico nella storia dell'umanità perché, a differenza di tutte le altre, essa «operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale»; «la sua legge attinse unicamente dalla voce interiore» e «la coscienza morale, all'apparire del cristianesimo, si avvivò, esultò e si travagliò in modi nuovi». L’edificio di culto. Ma perché è importante realizzare un edificio di culto e poi preservarlo, abbellirlo, renderlo funzionale, ristrutturarlo? La domanda non è retorica e si pone da una prospettiva laica. Cosa sarebbe Roma, la capitale eterna senza i suoi edifici religiosi? E cosa sarebbe Assisi, senza la Basilica dedicata a San Francesco; o Paola, senza il suo santuario dedicato al Patrono della Calabria; o Firenze, senza il suo Duomo dedicato a Santa Maria del Fiore, o Modena senza il Duomo dedicato a San Geminiano e così via. Sarebbero città infinitamente più povere. E la loro povertà non sarebbe soltanto spirituale, ma anche urbanistica e artistica. Con le dovute proporzioni, cosa sarebbe Zambrone senza il suo edificio di culto dedicato a San Carlo Borromeo? Si riesce ad immaginare questo paese senza il suo edificio collocato nella centrale Piazza San Carlo Borromeo? Certamente ci sarebbero dei buchi neri nella memoria. Sicuramente si perderebbe la presenza di un elemento storico. Di certo, il collante culturale subirebbe un certo vulnus. E anche l’euritmia dei luoghi sarebbe compromessa. Insomma, la nostra sarebbe una comunità decisamente più povera sotto ogni profilo. Memoria, cultura, armonia. E allora, il recupero o il restauro di un tale immobile non è soltanto questione che interessa i credenti, ma investe la sua comunità intera, non ultima, l’istituzione municipale. Perché se c’è un compito che caratterizza il ruolo dell’amministrazione comunale è quello di mantenere saldo il legame con la storia, preservarne la memoria, il collante culturale fra la popolazione, la sua anima, appunto e, infine, creare e difendere l’armonia sociale. E la tutela dell’edificio di culto è la perfetta sintesi di ciò: da un lato preserva un edificio storico che ha un valore in sé; dall’altro, sintetizza l’insieme di quei valori, simboli e prospettive “immateriali” in argomento. L’Italia si dice sia il Paese dei tanti campanili. Ed è anche questo che ha reso il Belpaese tale: un esempio di bellezza, armonia, equilibrio. Sacramenti e comunità. Attraverso i Sacramenti, nell’edificio di culto del capoluogo, ogni famiglia vive le tappe essenziali della sua storia personale. Si tratta di gioie immense e di grandi dolori. E questi momenti hanno certamente una portata spirituale. Ma hanno anche una valenza materiale. Perché al Battesimo è legato, ad esempio, l’orgoglio dei nonni o perché all’Eucarestia c’era tutta la felicità dei genitori per la prima tappa importante dei propri figli o al matrimonio, così per come sono concepiti nel Sud, la partecipazione di buona parte della comunità o all’Unzione degli infermi, perché la vita registra anche passaggi scanditi da un dolore profondo, quasi sempre vissuti nella religiosità e insieme alle persone che si vogliono bene. Conosco bene questi argomenti, anche perché sono stato battezzato in questo edificio cristiano e sempre qui ho preso la Prima Comunione. Secolarizzazione. Qualche anno fa, quando disponevo di maggiore tempo da dedicare alla lettura lessi di alcune chiese che in Germania venivano trasformate in aree di parcheggio. È il segno dei tempi sempre di più portati verso la secolarizzazione. Dalla provincia, da una provincia della Calabria, tra le regioni più povere dell’Europa viene un piccolo ma significativo segnale che va nell’opposta direzione. Questa comunità, con l’opera di restauro appena terminata, è assetata di cristianesimo e difende la sua storia. “Amo il mio paese perché mio”. Mi preparavo alla prima campagna elettorale, nel 2014, quando, in un saggio che mi prestò mio padre, lessi una frase di Stefan Orbelian, un frate armeno vissuto nel XIII secolo, poi nominato vescovo in Cilicia: «Amo il mio paese perché mio». Non compresi il senso di quell’affermazione e quindi chiesi delucidazione a chi mi aveva proposto quella lettura (mio padre, appunto) che, pazientemente, mi spiegò il pensiero del Frate, tutt’altro che banale. In tale frase così semplice, c’è un’idea alta e nobile che si lega ad un’immagine complessiva della propria terra, una necessità intellettuale e un bisogno di agire. Si ama il proprio paese non solo perché vi si è nati e perché è la terra dei genitori e dei nonni, degli amici e dei compagni di scuola, del mare e della campagna che gli danno tono e valore. Lo si ama anche perché lo si colloca su una piattaforma ideale alla cui costruzione si partecipa con l’intelligenza, la passione, il progetto e l’azione. Lo si ama, insomma, perché se ne costruisce, insieme agli altri, la prospettiva e tutto questo lo rende in qualche misura simile a noi, al nostro modo di percepire la realtà del futuro. Questo amore lo manifestiamo nella quotidianità e in silenzio. Oggi lo rendiamo pubblico perché è una giornata storica. Da oggi, c’è una certezza in più: l’edificio di culto ritorna nella disponibilità dei suoi fedeli e della comunità. Il mio auspicio, dunque, è di continuare a seguire l’insegnamento del frate armeno: «Amo il mio paese perché mio» e oggi, grazie a quest’opera, lo sentiremo, ancora di più, come nostro. Zambrone, 28 Aprile 2022 Il sindaco Avv. Corrado Antonio L’Andolina
Associazione culturale Aramoni - Storia e tradizioni del popolo di Zambrone
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