Elogio funebre in onore di Franco Alleva
Franco Alleva era un uomo buono. La prima cosa che mi viene in mente è questa considerazione. E non è così banale come potrebbe sembrare di primo acchito. Perché essere buoni oppure no è una questione di scelta. Franco, aveva deciso di esserlo sempre, in ogni circostanza e in tutti i momenti della sua vita. Essere buoni a dispetto della violenza che si riscontra, giorno dopo giorno, tanto nella vita reale che in quella trascorsa sui Social. Essere buoni nonostante le avversità. La sua indole era profondamente contaminata da questa bontà dello spirito che si traduceva in comprensione e vicinanza affettiva.
Ma Franco aveva altre peculiarità che vale la pena ricordare in questa luttuosa circostanza. Egli era un uomo mite. Non ho mai visto, in lui, un atto d’iracondia o di nervosismo, di scompostezza o di aggressività. Sistemava ogni cosa col sorriso, con le pause, con la semplicità. La sua mitezza era tutta raccolta nei gesti piccoli e meno piccoli di aiuto che era capace di porre in essere. Nel tempo degli urlatori, il suo parlare a bassa voce ed a misurare le parole era un esempio per tutti di come si dovrebbe reimpostare il linguaggio fra simili.
Ma Franco Alleva era, soprattutto, un riferimento per tanta gente. Lui è stato presente ai matrimoni nostri o di qualche nostro parente, ai battesimi, alle comunioni, alle cresime e, talvolta, ai funerali. Chi è che non si è rivolto a lui per il duplicato di una foto di un momento di vita familiare? Oppure per l’immagine da immortalare sul marmo di un nostro congiunto. Oppure per la fototessera che per molti ragazzi rappresenta un passaggio obbligatorio verso la vita adulta? E chi entra nella nostra vita in momenti e in circostanze così salienti, vi entra per sempre. Perché questi sono i momenti essenziali che segnano la nostra memoria e, quindi, il nostro modo d’essere. Siamo portati a dimenticare le cose di tutti i giorni perché la nostra mente non potrebbe immagazzinare così tanti dati. Ma non dimentichiamo, mai, quelle che danno senso e corpo al bagaglio delle emozioni. Perché una vita senza ricordi sarebbe decisamente povera. Franco Alleva ha contribuito in maniera essenziale a tale arricchimento. In queste occasioni, egli non si limitava a stipulare un contratto e ad eseguire una prestazione professionale. Faceva molto di più. Non solo offriva suggerimenti sul cerimoniale. Ma era visibilmente compartecipe della gioia (e nelle occasioni tristi, del dolore) dei clienti che egli considerava, prima di tutto, suoi amici. La sua compartecipazione era vivida, profonda e sincera. Ed è anche per tale ragione che la gente ha accolto la notizia della dipartita di Franco con sincero sentimento di tristezza. Perché l’empatia che stabiliva con i suoi clienti era reale e profondamente umana.
Ma c’è un aspetto che occorre evidenziare nella sua esperienza professionale. E cioè la passione per la natura e per i momenti sociali. Egli era, forse inconsapevolmente, un ambientalista convinto. Quanto amore nelle foto che rendevano omaggio alla campagna di Zungri! E con quale passione seguiva le processioni in onore della Madonna della Neve, immortalando attimi, volti e immagini così radicate nella cultura religiosa zungrese. E poi le cerimonie politiche, le sagre, le manifestazioni scolastiche e così via. Non c’era evento pubblico nel quale egli non desiderasse essere coinvolto. E spesso, la sua presenza, era del tutto gratuita; un dettaglio che passava inosservato e che invece vale la pena mettere in luce. Sapeva, con la sua attività, rendersi utile alla società e lo faceva con altruismo, senza chiedere nulla in cambio.
Egli è stato il primo ad immortalare le “Grotte degli Sbariati”. La collezione fotografica numero uno degli anni Ottanta che arredava le pareti del municipio, con le foto dell’insediamento rupestre, portava la sua firma.
Franco Alleva aveva un piccolo “sogno” che mi aveva confidato. Desiderava pubblicare un libro. Mi diceva che lui non sapeva scrivere, ma nonostante ciò aveva molte cose da dire. Incuriosito, gli chiesi spiegazioni. Mi disse che avrebbe desiderato pubblicare un libro che parlasse il linguaggio delle fotografie. Voleva, in sintesi, raccontare la storia e l’evoluzione di Zungri con le fotografie che aveva nel suo archivio. Accolsi la proposta con entusiasmo. Poi, le vicissitudini della quotidianità non hanno reso possibile la pubblicazione di quest’opera. Spero, sinceramente, che la sua famiglia, insieme all’amministrazione comunale e alle associazioni che operano sul territorio possano concretizzare questa valente idea.
Franco Alleva era un artista; a modo suo era un artista vero. L’arredamento del suo piccolo studio era originalissimo. Qualche macchina fotografica del passato, tantissimi rullini e altri attrezzi del mestiere arricchivano le sue vetrinette. E poi le foto di qualche cerimonia o di scorci del territorio. Scrivania rigorosamente in disordine e computer quasi sempre imballato. Specchio a unghia regalatogli da un amico. Cavalletto e macchina fotografica sempre pronta all’uso. Il tutto sembrava una scena tratta da un film antico, magari a firma di Giuseppe Tornatore, tipo “Nuovo cinema paradiso”. In questo mondo c’era il senso dell’antico e del moderno, la fedeltà alla tradizione e la curiosità per l’innovazione. Spesso, avevamo discusso del passaggio dal cartaceo al digitale. Entrambi, forse per ragioni anagrafiche o chissà per quale altro motivo, preferivamo ancora le foto tradizionali.
Negli ultimi anni Franco Alleva aveva riscoperto l’amore incondizionato per Gesù. Credente, lo era sempre stato. Ma riteneva, come si conviene ad ogni buon cristiano che la fede vada vissuta e praticata tutti i giorni. Me ne aveva parlato di questo suo sentimento, con la semplicità e la discrezione di sempre.
Il Vangelo ci ha insegnato che il chicco che muore produce molto frutto. L’accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono. Un granello di frumento appare come un guscio secco, spento e inerte, in realtà è una piccola sorgente di vita. Caduto in terra, il seme non marcisce e non muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma più evoluta e potente.
Egli è stato un buon marito e un padre affettuoso. Premuroso con Salvatore, protettivo con Maria e ombra fedele di Cristian. So cosa significhi perdere il padre. È un dolore che non va mai via. La fisicità manca e sempre mancherà. La felicità non potrà mai più essere piena. Però, il tempo, insegna a convivere con questa nuova condizione. Ma se la fisicità è assente, tutto il resto è ancora più forte e presente! E tutto il resto, non è un dettaglio, ma a ben pensarci è la parte più bella e importante di chi non c’è più che si riflette nel nostro essere.
Franco non era esente da difetti. Nessuna persona lo è. Ma i suoi gli conferivano una maggiore umanità. Egli ha conosciuto le difficoltà che non ha eluso, ma affrontato e superato con la forza della volontà e spirito combattivo.
Ci sono ancora due aspetti del suo carattere che vale la pena ricordare. In primis, la pazienza. Innanzi alle richieste della clientela non si scomponeva e cercava, in ogni modo, di soddisfarla. Non era solo una questione di professionalità, quanto di compartecipazione a un processo per raggiungere un obiettivo ritenuto significativo. In secondo luogo, la generosità. Condivideva con il prossimo tutto ciò che aveva. L’altruismo era proprio connaturato al suo agire. Franco aveva un cuore ballerino e ne era consapevole. Ma era grande e aperto a chi aveva voglia di ascoltarlo o di leggerlo.
Le parole non consolano. I fatti sono spesso spietati e difficili da accettare. Ma sono le prime che spiegano i secondi.
“C’è chi si fissa a vedere solo il buio. Io preferisco contemplare le stelle. Ciascuno ha il suo modo di guardare la notte”. È una riflessione di Victor Hugo.
Franco, continua a fotografare… le stelle!
Zungri, 28 giugno 2021
Corrado L’Andolina