Verso il Partito Democratico
I TRE GIORNI DI PAOLO
Paolo di Tarso racconta che un giorno, mentre correva da Gerusalemme verso Damasco al caritatevole scopo di “beccare” un po’ di cristiani lì rifugiati per sfuggire alle persecuzioni farisaiche, udì una voce tanto potente (e probabilmente anche irritata) da fare imbizzarrire il proprio destriero che lo disarcionò e, subito dopo, fu accecato da una luce così violenta da rimanere cieco per tre giorni. Non ci sono prove della veridicità dell’evento e il più avveduto dei magistrati inquirenti del tempo avrebbe avuto qualche difficoltà a trovarle. È certo che, riacquistata la vista, il santo abbia compiuto una virata di 180 gradi nei convincimenti religiosi e nei comportamenti. In questi tempi di beata (in)coscienza, bastano molto meno dei tre giorni di Paolo per conversioni, riconversioni, riposizionamenti, aggiustamenti, deviazioni, correzioni, motivazioni, smentite, conferme, ribaltamenti, ribadimenti, salti e rimbalzi. La chiamano libertà! Libertà di ricercare il bene comune, s’intende per il popolo, per il rinnovamento della politica, per un nuovo grande progetto che risanerà la Calabria e la risolleverà dai suoi mali storici. Il progetto è catalogato con l’originale denominazione di Partito democratico, come quello che, negli Stati Uniti, ha espresso presidenti come Truman, che autorizzò il bombardamento atomico del Giappone, Kennedy, che non ebbe nulla da eccepire sull’attacco alla Baia dei Porci e avviò la tragedia del Vietnam, fino all’ineffabile Bill Clinton, di cui si ricordano più le gesta erotiche che i risultati dei due mandati. Padre nobile e accomandatario dell’Iniziativa, Walter Veltroni, attualmente giovane sindaco della Capitale, volto assolutamente nuovo sullo scenario politico, come, del resto, i vari imitatori, emulatori ed epigoni nelle varie regioni, ora strenuamente impegnati nell’operazione di rilevamento dei dati e nella costruzione del consenso. Guardo, anzi leggo, con un senso di smarrimento e di rassegnazione il tragicomico caleidoscopio di dichiarazioni, enunciazioni e manifestazioni che la stampa quotidianamente ci offre. Non mi indignano il voltagabanismo e il trasformismo. M’intendo un po’ di storia, se i professori Tomeucci e Villari nei tempi lontani dei miei studi messinesi non si sono sbagliati nel valutarli e mi rendo conto che l’uno e l’altro (voglio dire voltagabnismo e trasformismo, non Tomeucci e Villari!) sono l’eredità storica e culturale dei limiti morali e democratici con cui si è compiuto il Rinascimento e costruita l’unità del Paese. Ci vuole ben altro del Partito democratico per debellarli. Mi addolora il destino della gente, la fine ingloriosa di tante storie personali come quelle di molti comunisti e socialisti intruppati in un soggetto informe, che finora non ha espresso, al di là delle banalità, sistematicamente propinate dalla Tv di stato, una, che sia una sola idea sul futuro della Regione e del Paese. Ci avevano insegnato che le idee sono il collante dei partiti, il valore che mette insieme persone diverse tra loro, ma unite, attraverso le idee, sugli obiettivi. Perciò, nello stesso partito, coabitavano tranquillamente il bracciante e il professore, il manovale e l’ingegnere, lo studente e l’avvocato. Il sistema si è capovolto, o meglio, ha escluso da sé il valore della partecipazione attiva, si è ibernato nel decisionismo e ripiegato sulla finzione delle “primarie” a pagamento, simbolo nefasto dell’ipocrisia e del tartufismo.
Mi chiedo come sia possibile avere inneggiato per tutta la vita ai valori del socialismo, aver educato i figli secondo la propria concezione della vita e considerata la coerenza della militanza come fattore visibile del proprio relazionarsi con il mondo legando ad essa storie, comportamenti, sofferenze e sacrifici, quasi alla stregua della difesa dell’onore… e alla fine rinunciare a tutto questo. Ha senso? Non è una riflessione alla quale invitare assessori e presidenti, sindaci e consiglieri, politicanti della prima e dell’ultima ora. Loro risponderebbero che i tempi cambiano e bisogna stare al passo, che le esigenze della società moderna non sono quelle di trent’anni fa e non avrebbero alcuna esitazione a definirmi anacronistico, antistorico, magari anche un po’ qualunquista, fascista e, ingiuria suprema, burlusconiano. L’invito, al contrario, è rivolto a chi ha creduto in se stesso e avverte il disagio di una collocazione che non appartiene alla sua vita e stenta a inquadrarla nella sua visione del mondo e nel proprio quotidiano. Insomma, a chi ha una coscienza e avverte la responsabilità delle scelte. Stanno creando uno strumento di potere nel quale si aggregano culture disomogenee, che si avvale della forza gestionale di enti di ogni specie e qualità, e soprattutto dei loro bilanci, ma che non ha anima, perché non viene della riflessione degli uomini e delle donne del popolo, che non si è forgiato nella sofferenza e nella lotta, ma nel Palazzo. Uno strumento che potrà, per qualche tempo, anche esercitare il fascino (in)discreto della nuova borghesia politica, madre e figlia della stessa che a Roma compra i palazzi degli enti pubblici a prezzi agevolati. Il soggetto politico in via di formazione manca di molte cose per essere realmente nuovo e ne ha molte in più di quante ne occorrano per essere credibile. Reggerà finché eserciterà il potere. Tenersene lontani è una saggia decisione. Si può fare politica anche con il due o l’uno per cento, specialmente se per politica s’intende la decisione personale, libera e determinata a contribuire a migliorare il mondo e non soltanto il proprio status.
Salvatore L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora l’11 settembre 2007