IL SIMBOLO DELLA DECANDENZA
Chissà cosa avrebbe detto il grande Totò osservando la sua Napoli sepolta dai cumuli di spazzatura? E quale battuta avrebbe tirato fuori Eduardo ascoltando le giustificazioni di Bassolino e della Jervolino ? Loro conoscevano bene l’anima napoletana e altrettanto bene quella italiana. Probabilmente non si sarebbero spinti oltre qualche fulminante riflessione sul valore simbolico dei maleodoranti cumuli. Abundantia ad abundamdum. E’ tutta colpa dei Napoletani. Mangiano tanto. Una volta mangiavano pochissimo e rifiuti per le strade non se ne vedevano. Evento non previsto, nonostante le avvisaglie di qualche tempo fa, quello del superaffollamento di strade e marciapiedi. Non di pedoni, di spazzatura. Per il futuro il problema potrebbe essere risolto costringendo napoletani e italiani a mangiare di meno. Meno si mangia, meno rifiuti. E il problema si risolve da sé. Coraggio, siamo sulla buona strada. Se continua così la produzione di spazzatura diminuirà vertiginosamente in tutto il Paese. Non ci sarà bisogno di termovalorizzatori e di inceneritori. Le intenzioni del ministro dell’Ambiente troveranno modo di realizzarsi senza cortei di protesta, senza sfuriate di no global e senza gravi scuotimenti del capo di vescovi e preti à la page. E quel che è successo in passato, quella intollerabile protesta per la discarica di Pianura sarà soltanto un ricordo, quel tronfio scaricabarile di ministri, assessori, presidenti e sindaci la pallida memoria di un evento ormai archiviato. Loro sanno bene che gli Italiani non hanno buona memoria. Dimenticano tutto e subito. In tutto questo urlio di rimproveri e ritorsioni, di palleggiamenti e di furbate, l’unica sincera, in fondo è stata la Jervolino quando a microfoni quasi spenti si è lasciata sfuggire un “ma dài, non è morto nessuno, non muore nessuno, ne verremo fuori !” (più o meno). Confesso che tra tutte le balle che ci hanno propinato in tv e sui giornali, le parole del sindaco di Napoli sono quelle che mi hanno lasciato di stucco. Rabbrividisco ancora ricordando la voce chioccia e stridula che le pronuncia. Sono la testimonianza non di un’arroganza consapevole e becera ma di un candore superficiale che sottende un’abitudine al potere come investitura divina di chiara eredità democristiana. Non necessita di alcuna riflessione, di alcuna autocritica. Non è necessario preoccuparsi per un po’ di spazzatura. A meno che non muoia qualcuno. Evento fortunatamente, almeno per ora, scongiurato. E se qualcuno dovesse rimetterci la pelle ? E che vogliamo fare ? Pazienza. Tanto prima o poi tocca a tutti. Ma il pensiero di un fin troppo evidente nesso simbolico tra spazzatura e potere non può non avere sfiorato le sensibilità più oneste e le intelligenze più acute del gruppo dirigente napoletano e nazionale. Se poi si pensa che (anche considerando non del tutto prive di fondamento le obiezioni di qualcuno che, ovviamente, sostiene l’innocenza assoluta e totale degli attuali comandanti del battello del potere e scarica, altrettanto ovviamente, sui predecessori di opposta fazione colpe e responsabilità) l’evento spazzatura si sia verificato regnando a Roma e a Napoli gli eredi di De Gasperi e di Togliatti uniti nel Pd, il trauma non può non avere sconvolto anche gli animi più cinici dell’éstablishement attuale. Spazzatura e potere uniti nella lotta…per distruggere persino la proverbiale capacità di sopportazione dei Campani e dei Napoletani. Spazzatura e potere come testimonianza di una inefficienza, che riabilita Borbone ed esalta Murat. Spazzatura e potere come segnale del soffocamento della tradizione e della cultura della civiltà. Non ci riporta nel passato. Non appartiene al presente. Tanto meno ci proietta nel futuro. O sì ? O è questa una fuoriuscita dalla civiltà del nostro tempo e prefigura l’immagine di un Paese -il nostro- in cui tutto diventa possibile perché tutto prodotto dall’uso cinico del potere (in tutti i livelli istituzionali) come fine e non come strumento che esalta la democrazia rappresentativa. Ecco perché la spazzatura napoletana alla fine assurge a nobile simbolo della decadenza e Napoli è l’anticipazione macroscopica dell’Italia che non riesce più ad essere se stessa, che si copre di grida seicentesche di manzoniana memoria e si lascia governare da una classe di privilegiati che non nasconde più la testa nella sabbia ma…nella spazzatura. Proprio come descrive lo scrittore milanese sull’attività dei pubblici poteri durante l’epidemia di peste “ E non solo l’esecuzione rimaneva sempre addietro de’ progetti e degli ordini; non solo, a molte necessità, pur troppo riconosciute, si provvedeva scarsamente, anche in parole; s’arrivò a quest’eccesso d’impotenza e di disperazione, che a molte, e delle più pietose, come delle più urgenti, non si provvedeva in nessuna maniera”. (A. Manzoni , I Promessi Sposi, cap. XXXII).
Salvatore L’Andolina
Calabria Ora 12/1/2007