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Il peperoncino di Aramoni. Una storia piccante...
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Salvatore L'Andolina
Il peperoncino di Aramoni. Una storia piccante...
Lo straniero, d'età indefinibile, aveva un viso dai lineamenti marcati, quasi rigidi, denti bianchissimi, occhi come il cielo d 'estate, capelli color del grano maturo ed era altissimo. Mai si era visto ad Aramoni un individuo così alto, davvero un gigante, e tale appariva agli aramonesi che lo guardavano con il naso all 'insù, sollevandosi sulle loro corte gambe e ondeggiando altezzosamente sul tronco. Nessuno sapeva com’era arrivato ad Aramoni. Parlava una lingua in cui si mescolavano suoni gutturali, tonalità provenzali, misteriose accozzaglie consonanti che, espressioni greco-latine e bruzie. Si faceva, tuttavia, comprendere perché accompagnava le parole con ampi gesti e pur nella rigidità del volto, riusciva a comunicare il senso dei suoi pensieri.
Aramoni in confronto ai villaggi del contado, era una città. Strade ricoperte da selci e da un materiale argilloso che assorbiva facilmente l’acqua, consentivano il transito ai contadini, ai soldati, agli asini ed ai cavalli. La strada principale era lastricata di grosse pietre, tutte eguali, che erano state tagliate da grandi massi di alabastro dagli scalpellini di Mileto.
All’inizio e alla fine della strada c 'erano due stazioni di posta per il riposo o il cambio dei cavalli che trainavano le carrozze coperte verso Tropea o Vibona e nelle vicinanze sorgevano due osterie senza nome e senza insegne dove si serviva un pessimo vino, insalata di cicoria, pane di segala e, nelle occasioni speciali, arrosto di montone o di maiale. In una di queste osterie lo straniero sì fermava, a volte, per bere un pò di vino e quando alzava il gomito oltre misura diventava loquace.
Un giorno, verso il tramonto, quando il locale si riempiva di contadini che tornavano dai vicini campi, si fermò un 'elegante carrozza. Ne discesero una coppia di anziani, stanchi e male in arnese, e due donne giovani e graziose, avvolte in vesti eleganti e colorate di seta catanzarese. Una di loro chiese dell’acqua per dissetare quelli che sembravano gli anziani genitori e l'altra domandò notizie del posto all'oste. L’altra chiese subito che si chiamasse il medico o qualcuno che s'intendesse di malattie. Si capiva che il vecchio pallido e stanchissimo soffriva di qualche male misterioso ma l'unica guaritrice di Aramoni abitava a tre miglia; quasi a contatto con i frati basiliani che vivevano nelle grotte degli Sbariati e non c'era modo di farla arrivare in fretta. Lo straniero guardò il vecchio negli occhi, poi, senza parlare gli tastò il polso e mentre si lamentava con voce sempre più flebile, tirò fuori dal pastrano un rotolo di pampini in cui erano avvolti dei piccoli oggetti di forma sferica, rossi, arricciati, e vizzi, con un peduncolo giallastro. Chiese mortaio e pestone, vi mise dentro tre o quattro di quegli strani oggetti e cominciò a battere. Ben presto li ridusse in una polvere sottile e giallastra e portandosi la destra alla bocca invitò il vecchio ad ingoiarla e subito dopo a bere un lungo sorso d’acqua. Il vecchio, che si sentiva morire e capiva che morto per morto tanto valeva assoggettarsi a quello strano invito, obbedì e subito dopo emise un urlo poderoso, agitò le braccia come un forsennato, compì un girotondo sputacchiando per tutto il locale, saltellò come un grillo all’indietro e in avanti, si compresse lo stomaco con entrambi le mani, si piegò sulle ginocchia e subito dopo si raddrizzò come un orso che sta per attaccare una pecora, grosse lacrime cominciarono a calargli dagli occhi e due lunghi muchi dalle narici; l’urlo si trasformò in un mugolio prolungato che esprimeva dolore, incertezza, inquietudine. L 'acqua che una delle figlie gli offrì fu scolata d'un fiato. Lo sbalordimento dei presenti era generale. Fatto sta che lo straniero fu subito guardato con sospetto perché tutti pensavano ad una diavoleria e che ci volessero i monaci delle grotte più che la guaritrice per scacciare il maligno portato dallo straniero e introdotto nel corpo del vecchio con quella misteriosa polverina. Ma dopo un pò l'uomo si era completamente calmato e parlava con voce chiara e non si lamentava più, anzi, sembrava ringalluzzito e contento, chiese un po' di vino per sé e volle che ne fosse donata una cannata allo straniero a mò di ringraziamento. Poi fece capire che voleva conoscere il segreto di quella polverina amara come il veleno ma portentosa per gli effetti. Lo straniero scosse il capo e, grosso modo, fece questo discorso: “Ho viaggiato il mondo in lungo e in largo, vengo dal nord e ho attraversato il grande mare freddo che comincia dove finisce la mia terra d'origine. Ho navigato per miglia e miglia con i miei compagni. Ho visto e conosciuto popoli strani che abitano terre sempre calde. Non conosco nemmeno ora il nome di quel luogo; ho visto che era abitato da uomini e donne quasi svestiti perché lì regna sempre la buona stagione. Laggiù ho visto piante e frutti strani e misteriosi. Alcuni crescono sopra ed altri sotto la terra. Li ho assaggiati e mi hanno nutrito. Sono ritornato nel mio paese freddo e poi da lì, con altri compagni, tutti uomini del Nord, sono arrivato nella terra dei Franchi da dove sono infine arrivato fino a questa vostra terra. Ho portato con me alcuni di quei frutti e di quelle piante e li ho usati come ho visto fare laggiù. Questo si chiama pepe, è amaro ma fa bene perché fa dilatare le vene dentro cui scorre il nostro sangue e dà sollievo. E' come una medicina, cattiva al sapore ma buona per il giovamento”. Tutti i presenti ascoltavano con occhi spalancati il racconto e la loro meraviglia era accresciuta dall’evidente stato di benessere del vecchio, che ora sorrideva. Chiedevano notizie di quella meraviglia, ne volevano per sé, circondavano lo straniero, ora guardato senza sospetto e persino con un pò di simpatia.
La ragazza più giovane fece capire che sarebbe stato meglio se lo straniero fosse andato con loro, magari il padre poteva ancora avere bisogno di quella medicina. Ma si capiva che era rimasta impressionata dal racconto e voleva sapere tutto dallo straniero, il quale capì che la sua permanenza in quella città poteva concludersi in quel momento e guardò con un largo sorriso, il primo che gli Aramonesi vedevano sul suo volto e anche l'ultimo, la ragazza che rispondeva al suo con un altro sorriso. Prima di salire sulla carrozza, però, riaprì i pampini e prese due di quegli strani frutti e li offrì all’oste dicendo: "Pepi piccoli... peperoncini... i peperoncini di Aramoni... vi serviranno ancora e li avrete e tanti, come in quei paesi lontani che non hanno ancora nome…”. E subito dopo l’incitamento del cocchiere, i cavalli scalpitarono prima di avviarsi… Gli uomini di Aramoni guardarono la fioca luce della lanterna a poppa della carrozza finché il buio non la inghiottì.
(Storia tratta da uno spunto offerto dalla lettura di un testo medievale e da una libera interpretazione di qualche scritto di Leonardo Sciascia).
Salvatore L'Andolina
• Racconto presentato nell'ambito del Tamburello festival 2004
Associazione culturale Aramoni - Storia e tradizioni del popolo di Zambrone
frazione San Giovanni, Viale Antonio Gramsci numero 3 - 89867 Zambrone (VV) - Italia