ANC&STRALI
Un giorno d’estate di molti anni fa, quando avevo nove anni, mio padre mi chiamò e mi disse: «Trovami una canna né molto grossa né molto sottile, ma che sia ben secca, asciutta e perfettamente tonda». Sorpreso e preoccupato perché pensavo di non aver capito bene, rivolsi uno sguardo interrogativo al genitore che stava smontando pezzo per pezzo, proprio in quel momento, il clarino di cui era abilissimo suonatore. Mio padre capì e mormorò con una certa impazienza che la canna gli serviva per fare un’ancia. Sbigottii pensando che papà dovesse essere impazzito: mettersi a costruire una lancia per giocarci a quell’età… Lui continuò a destreggiarsi con i vari pezzi dello strumento. In realtà mi era sfuggito semplicemente un apostrofo. Non si trattava di una lancia ma di un’ancia, ossia una di quelle linguette di legno o di canna (oggi di plastica o di altro materiale) che si avvitano in cima alla maggior parte degli strumenti a fiato e assicurano il suono. Quando tornai avevo con me due lunghissime canne, ottime per farne delle lance ma non so quanto utili per farne ance. Il genitore guardò le canne e mormorò che con quelle poteva farci un giavellotto o una lancia, poi ne scartò subito una e dal pezzo centrale dell’altra ricavò, lavorando abilmente di coltello, alcune linguette che sovrappose a quella vecchia in dotazione allo strumento. Provò, scartò, riprovò, affinò, assottigliò, svitò, rimontò, riprovò finché dal clarino uscì un suono perfetto, chiaro, armonioso e rassicurante. Ricordo, come fosse ora le note rapide e gioiose di Speranze Perdute, un bel valzer che mi capita d ascoltare ancor oggi e dopo di questo le note della tarantella napoletana di Rossini, allegra e coinvolgente nella sua prorompente vitalità. Da quel momento non scordai più la differenza tra lancia ed ancia ed imparai che quella sottile linguetta era la sorgente dell’armonia , la causa del mistero della musica e del ballo, la ragione per cui amore, armonia e bellezza formano un tutt’uno per animare la coscienza degli uomini e delle donne, per attrarre l’attenzione e le divertenti imitazioni dei bambini, per giocare e pensare, per cantare e apprendere parole nuove, suoni indimenticabili, armonie del passato, motivetti del presente. Tutto racchiuso in quella linguetta di canna, ora quasi esclusivamente di plastica, che dà vita ad uno strumento musicale del passato come del presente, che se vuole può mettersi a raccontare storie incredibili di suonatori e di compositori, di prove risolte e tentativi annullati, di volontà incrollabili per raggiungere la perfezione, perché la musica è perfezione o non è nulla, è suono che raggiunge l’anima, la prende, la comprende, la cattura, la commuove, la fa ridere o piangere, suscita ricordi e sentimenti, fa pensare agli amici perduti, all’amore, alla giovinezza, al mondo che avremmo voluto costruire e non ci siamo riusciti pur continuando a tenerlo fermo nel nostro cuore nella sua interezza. Con qualche rimpianto, che se insistiamo a tenerci su il pensiero un po’ troppo a lungo si trasforma in sofferenza come un colpo che il cuore riceve all’improvviso, uno strale partito da chissà dove e chissà come e chissà perché. Fatto è che ancia e strale, cioè armonia e dolore, musica e partecipazione, ascolto e memoria si condensano in una nebbia che avvolge la totalità dei nostri pensieri, l’essenza della nostra consapevolezza di esseri umani, di persone che rifiutano di spiegarsi il mistero delle tante vite vissute in una sola. Forse perché è bello così e il resto ha scarsa o nessuna importanza: il cuore canta perché è ferito, colpito, risvegliato, si è messo in ghingheri per vivere l’ennesima sofferenza o l’ultima gioia; l’ennesima sofferenza nel ricordo del bambino perduto ancora in fasce, del fratello militare caduto nella guerra d’Abissinia, della memoria improvvisa della madia vuota, delle quattro rape scotte pronte per la cena, del lavoro del figlio giovane appena licenziato e la valigia pronta per partire… Torino o Londra, Zurigo o Lione, nessun altro posto è casa sua, nessun altro posto potrà offrirgli l’aria del suo paese, le nuvole bianche del cielo di Calabria, il viola ammirato nel mare lontano, visto dalla balza del fondo avito. Quando senti che tutto questo sta nel passato pensi che anche i tuoi nonni hanno avuto gli stessi pensieri e gli antenati in qualche modo e in una certa misura continuano a vivere dentro di te, perché se così non fosse da dove verrebbero questi pensieri, così ben formati, eppure così insoliti e pure chiari come acqua di fonte e facili da ricordare come l’avemaria imparata da piccoli e mai più dimenticata? Non sarà tutto questo perché qui, in questa strana terra antica e sfatta, decadente e trasversale, selvaggia e romantica non si muore mai del tutto come avviene nelle grandi città e nelle civiltà più avanzate e quel che dal passato ci viene consegnato continua a palpitare e fa palpitare il nostro cuore? Non è solo la memoria, il ricordo dell’insegnamento, la ricchezza dell’esperienza ereditata, è proprio un valore aggiunto alla nostra esistenza, vivo e reale, concreto e invincibile che è parte di noi come presenza e come essenza di materia e di spirito, quasi benevoli fantasmi che aleggiano intorno ai nostri passi per ricordarci che quel che abbiamo non è nostro, lo custodiamo soltanto e dobbiamo essere pronti a consegnarlo ai nostri discendenti, figli e nipoti che a loro volta nel lontano futuro agiranno allo stesso modo. Tutto ciò può fregiarsi dell’attributo ancestrale? Normalmente il termine lo si pone accanto a sostantivi come panico, paura, terrore o sentimento ereditato dalla tradizione e perciò misterioso e scientificamente inspiegabile. Nessuna regola della morfologia vieta, tuttavia, di dare alla parola un significato positivo e bene augurante. Scelta che tutti compiamo anche a volte inconsapevolmente. È per questo che a quanto ereditiamo dal passato aggiungiamo poi qualcosa in più da donare ai nostri discendenti e l’orizzonte si fa più luminoso e il mondo del nostro presente renderà più ricco il futuro. Doveroso dedicare questa edizione del Tamburello festival alla fenomenologia dell’Ance….strale.
Salvatore L’Andolina
Presidente onorario del Centro studi umanistici e scientifici Aramoni