MURAT
Murat, municipalità, democrazia e classe dirigente. Spunti di riflessione quanto mai attuali e molto di più. Gioacchino Murat fu il codificatore degli usi civici che inflissero un duro colpo al regime semifeudale in vigore e consentì ai poveri, ai piccoli contadini, ai senza terra, di avvalersi sia pure entro certi limiti, del territorio anche in contrasto con il latifondo. Murat, persona dinamica, coraggiosa e avveduta, sapeva molto bene che il Sud, in genere, non aveva una classe dirigente (tranne, forse, in parte a Napoli) in grado di trasformare l’autonomia, appunto, in democrazia. La parola “democrazia” in effetti nemmeno figura in tutta la legislazione murattiana. I destinatari sui quali puntare non potevano quindi che essere la borghesia e anche l’aristocrazia che erano stati “colpiti” dai “lumi” francesi di prima e dopo il 1789. E questa si rivelò un'illusione e lo dimostra la stessa pietosa fine di Murat decretata proprio dal notabilato (aristocrazia e borghesia, appunto) vibonese sostenuti dalla popolazione napitina. Illuminate, su quest’ultima circostanza, il racconto di Alexandre Dumas dal titolo “Murat”. La sensazione è che gli eredi di coloro che operarono la disfatta di Murat, ancora oggi “pesino” negativamente sulla bilancia economica e soprattutto culturale del Sud.
Publicato su Cronache Aramonesi, anno XI n. 2 – Novembre 2015