La riflessione
MAI PIÙ “MORTI BIANCHE”, VERSO UNA NUOVA CULTURA DEL LAVORO
Storie tragiche e dolorose, storie di laboriosità stroncate da un destino straziante. Sono quelle dei caduti sul lavoro. Storie molto diverse tra loro ma che tuttavia recano in sé un comune denominatore: l’ingiustizia della malasorte. Vite falcidiate che spesso trovano una verità processuale, ma mai sostanziale. E il “Perché?” è destinato a soccombere in un mare di patimento. Le chiamano “Morti bianche”. Apparentemente una contraddizione di termini. La morte è quasi sempre associata al nero. Il bianco, invece, evoca la purezza della vita. E forse è proprio questa la dimensione di chi muore sul lavoro: una chiara contraddizione del divenire umano. Le “Morti bianche” non sono numeri, fascicoli e pratiche da trattare nelle aule di giustizia o da commemorare nei sacri edifici. Sono uomini e donne spesso tragicamente scomparse nel fiore dei loro anni. Eppure spesso questa dimensione così saldamente ancorata alla loro umanità non sempre è colta nella sua profondità. Urge operare per una rinnovata cultura del lavoro, capace di porre la sicurezza quale suo imprescindibile presupposto. Una sicurezza da conquistare con misure normative poi realmente applicate nella prassi. Ma soprattutto con strumenti di sicurezza aggiornati alle vecchie e nuove forme e modalità di lavoro. Una sicurezza che va difesa dalla barbarie di una produzione e di una celerità che mai possono cedere il passo innanzi alla vita. Il lavoro è un diritto e per molti versi può essere considerato anche un dovere. È un diritto non tanto perché sancito dalla Costituzione. Quanto perché rappresenta uno strumento di realizzazione della propria persona. È anche un dovere perché attraverso il lavoro la società avanza e protende verso il suo progresso. Diritto e dovere, in tal caso, convergono verso un’unica direttrice: il rispetto della vita; la sicurezza, in tal senso rappresenta il primo passaggio. Un passaggio che non va demandato solo al Legislatore ma a tutti i soggetti coinvolti in ogni processo di lavoro, sia direttamente che indirettamente. La vita è il bene più prezioso. La vita di una madre, di un padre, di un figlio, di un fratello di una sorella, di un coniuge, di un’amica o di un amico coincide in molti punti con la nostra stessa dimensione esistenziale. Appartiene alla sfera intima nella quale si articola il divenire quotidiano. La tragica e prematura scomparsa di un caro amico, Aldo Ferraro vittima di un incidente sul lavoro a soli 32 anni e di altri compaesani, m’ispirò, qualche anno fa, un libro dedicato ai caduti sul lavoro di Zambrone: “Il canto del pettirosso. - “Morti bianche” a Zambrone. Le testimonianze dei familiari”. La vita di questi sfortunati concittadini rimane un emblema di laboriosità ed onestà che va ben oltre i confini comunali. Il dolore dei familiari, così lancinante e composto uno stimolo permanente a non dimenticare. Ma soprattutto a spendersi con energia verso la costruzione di un mondo migliore; ad incominciare da quello del lavoro.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Il Quotidiano l’11 ottobre 2015, p. 21