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Ocello Michele
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La sua opera al servizio della gente
Ocello Michele
E’ stato il medico con il record, per durata, di attività professionale nel nostro Comune: più di trenta anni al servizio della comunità. Frequentò l’università di Bologna, dove si laureò in Medicina e chirurgia nel 1955. Era stato allievo e interno sia del professore Salvioli, direttore della clinica pediatrica universitaria che del professore Sotgiu, direttore della clinica medica. Terminati gli studi fu assistente dello stesso Salvioli. Successivamente conseguì diverse specializzazioni, tra cui pediatria, medicina scolastica e igiene, malattie del rene, sangue e ricambio. Giunse a Zambrone nel novembre del 1960 quale vincitore di concorso della condotta medica comunale, per la quale rinunciò alla sua carriera universitaria. Fortemente impegnato nel sociale, dedicò parte cospicua del suo tempo all’infanzia operando presso gli ambulatori dell’Onmi (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) in diversi centri del Vibonese, tra cui Zambrone, dove si avvalse a lungo dell’esperienza preziosa dell’ostetrica Giuseppina Calvi Macrillò, Zungri, San Calogero e Briatico. Interprete generoso e intelligente della filosofia della scuola bolognese di medicina, trasferì nella concretezza del suo impegno professionale il nesso tra impegno sociale del medico e aggiornamento culturale. Per tale motivo è tuttora ritenuto il primo medico dell’era moderna che abbia operato a Zambrone. Conquistò così l’affetto e la gratitudine della popolazione intera che comprese subito la differenza, rispetto al passato, anche recente, pionieristico e avventuroso, sebbene sempre rispettoso della cultura locale, dei suoi predecessori: l’approssimazione diagnostica sostituita dalla cultura degli esami scientifici, la genericità delle indicazioni terapeutiche dalla ricerca accurata della farmacologia adatta, il volontarismo della casualità dall’organizzazione metodologica, il rapporto confidenzial – retorico con il malato sostituito dalla ricerca e dallo studio dell’anamnesi. Per una popolazione ancora afflitta da mali storici ed endemici, con sacche residue di malaria, tbc, malattie intestinali e dell’apparato digerente e da malanni derivanti dall’attività lavorativa (artrosi, reumatismi, artriti) che considerava come normale ed accettabile la propria situazione di deficit sanitario, l’impatto fu sorprendente. Il dottore Michele Ocello si piegò alle esigenze di una clientela che per la prima volta sperimentava un tipo di assistenza del tutto nuova e, praticamente, fu costretto ad essere e sentirsi medico ventiquattro ore al giorno. Gli ambulatori comunali vedevano file continue ed inesauribili, soprattutto di anziani, la sua casa era meta permanente di disperati. Per anni ed anni, se si esclude qualche raro e breve periodo di riposo estivo, Michele Ocello fu il medico di tutti e per tutti, presente in ogni circostanza, al servizio della gente senza soluzione di continuità e per tutti la necessità di risposte ricercate con scrupolo, di consigli dettati dalla conoscenza, di suggerimenti proposti dal buon senso e dall’esperienza e soprattutto dal suo senso religioso della vita e della sua missione. E, nel contempo, lo scrupolo del professionista e dello studioso come risposta alla propria coscienza sull’obbligo di essere sempre aggiornato e, quindi, di doversi tenere permanentemente informato studiando e trovando il tempo per partecipare ai congressi medici, ai convegni di aggiornamento, alle informative sulla sperimentazione dei nuovi farmaci. Seguiva sistematicamente i malati con visite e controlli scientificamente svolti, entrava nelle misere catapecchie o nelle baracche di San Giovanni e di Daffinà o nelle palazzine dell’emergente piccola borghesia artigiana con il rispetto della dignità dovuto a ciascuno indipendentemente dalla sua condizione sociale. Manifestava rispetto per il dolore di tutti perché ne sperimentava quotidianamente gli effetti sull’animo. Non scoraggiò mai un ammalato e non si arrese di fronte all’ipotesi dell’ineluttabile, non blandiva e non minimizzava ma si impegnava con scrupolo e con indefessa ricerca per trovare le soluzioni caso per caso. Acquisì, pertanto, un’esperienza immensa ed una conoscenza straordinaria della storia anamnetica di ciascuno che gli permetteva di organizzare diagnosi e terapie su basi certe. Preferì sempre la serietà dell’indagine alla facilità della retorica senza mai sottovalutare né sopravvalutare i singoli casi da risolvere: un patrimonio di conoscenze e un volume di statistica sanitaria nella mente. Istintivamente la gente ne comprendeva gli sforzi continui di ricerca del meglio in suo favore e ne tollerava, quasi sempre, i momenti di nervosismo prodotti dalla stanchezza e dall’ansia. Non era facile fare il medico a Zambrone, negli anni ’60 e ’70. Era in corso una crescita tumultuosa sul piano economico e si andava diffondendo la consapevolezza dei diritti dei lavoratori, peraltro sostenuta dallo stesso dottore Ocello. Era sempre più difficile, tuttavia, per una sola persona, fronteggiare quotidianamente un flusso così massiccio di persone e la salute non poteva che non risentirne. Egli si lasciava prendere, però, quando era costretto ad allontanarsi dai suoi malati, da una specie di ansia e cercò sempre di ridurre al minimo, anche quando non stava bene, i periodi di assenza dal servizio. Affidava la gestione di quei periodi al dottore Francesco Mazzitelli, gentiluomo e vecchio medico condotto di Zungri, suo amico, al quale lasciava istruzioni precise sui casi più difficili in corso. La sua vita professionale, in realtà, coincideva con la sua vita personale. Non perse mai di vista, tuttavia, gli altri valori che ne sorreggevano la coscienza morale: la famiglia, la fede, l’amicizia. Esse costituivano il rifugio della sua esistenza “altra”, quella che si svolgeva apparentemente quasi ai margini della sua vita professionale ma che, nella realtà, ne era parte integrante e determinante, scopo ultimo della stessa vita, luogo ideale del riposo e dello sfogo, della quiete e del silenzio. Ed era anche quella di cui la gente sapeva di meno. Lui era per tutti il Dottor Ocello e la gente si era abituata a considerarlo tale pur nel riconoscimento, nel rispetto e nella gratitudine che gli dimostrava. Ma l’una e l’altra erano le componenti, nel suo cuore, del suo modo di essere e di agire. Lavorava per assicurare un buon avvenire ai figli e curava la gente amando gli uni e l’altra con il sentimento religioso che ne pervadeva la coscienza. Era un uomo difficile, quindi. Complesso e a volte non facile da seguire perché pensava assai di più di quanto comunicasse e difficilmente si adeguava alle convinzioni altrui. Partecipò alla vita politica cittadina e fu consigliere comunale ma preferiva collaborare più dall’esterno per sostenere il suo partito e le sue convinzioni. Non pochi candidati della Democrazia cristiana si avvalsero del suo aiuto in termini di contributo elettorale. Trasferitosi a Vibo, per ragioni familiari e per agevolare i figli che vi frequentavano le scuole superiori, trascorse gli ultimi anni combattendo contro una salute incerta. La sua scomparsa, alcuni mesi fa, ha commosso molti cittadini zambronesi. Ha commosso sopratutto le persone che ne hanno compreso il valore professionale, la serietà, la dedizione e ancor di più quelle che ne hanno saputo intuire e interpretare l’umanità, il carattere, l’onestà intellettuale. E’ stato un ottimo medico e un grande personaggio, un professionista che ha partecipato con sensibilità alla vita cittadina e ha compreso, lui che non era di Zambrone, l’animo della gente di Zambrone. I tempi, questi, non erano più i suoi. Tempi che coincisero, in un certo senso, con gli ultimi anni della sua attività. Per questo motivo, forse, lo ricordano e continuano ad apprezzarlo coloro che con lui condivisero allora consensi e dissensi ma con la dignità e il rispetto che derivano dalla cultura più che dalla frequentazione. Che se poi tutto questo ha prodotto anche un affetto sincero, il dolore per la sua scomparsa proprio per costoro è ancora più forte e avvertito. Come i ricordi che ne accompagnano e ne sorreggono la figura: un sorriso buono e gentile, un incoraggiamento garbato e affettuoso per mia madre ammalata che lui seguì per anni ed anni.
Salvatore L’Andolina
Pubblicato su Cronache Aramonesi, gennaio 2009, anno V n. 1
Associazione culturale Aramoni - Storia e tradizioni del popolo di Zambrone
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