ESTATE VIBONESE E I TANTI PROBLEMI IRRISOLTI FRUTTO DELLA RASSEGNAZIONE
La stagione estiva si avvia al termine e non lascia un’indimenticabile eredità. Il mare dell’intera fascia più volte si è segnalato per l’insorgere di colori nuovi e innaturali. Pulizia e manutenzione delle strade un optional. Il decoro di alcuni paesi non proprio degno di un Cantone svizzero. Rifiuti solidi perfettamente integrati in contesti urbani. Servizi tutt’altro che futuristici. E infine, la promozione turistica segnata da una sequela tendente all’infinito di sagre e poco altro. La domanda è semplice: perché? La risposta ruota intorno a una sola parola: rassegnazione. La sensazione è che il Vibonese (insieme alla Calabria e al Sud) sia decisamente regredito. Si è quasi rassegnati a un declino che a tratti sembra inarrestabile. Da dove ripartire? Innanzi tutto sarebbe cosa buona bandire la sagra dell’ovvietà. Ovvero, rappresentanti pubblici vari che discutono amabilmente di “cultura”, “tradizione” e “identità”. E ciò incuranti del contesto che li circonda, sempre di più secolarizzato! Ma anche le lamentose giaculatorie di chi addebita i ritardi delle realtà che amministrano a Garibaldi e, qualcuno, persino alle guerre puniche. Poi, servirebbe intervenire, urgentemente, con apposito decreto per impedire alle prefiche di esercitare il loro mestiere. Inutile affaticarsi per enunciare, con ricercata enfasi shakesperiana, che l’intera Via Lattea vive un momento di crisi. Tanto più che la crisi, in tal caso richiederebbe decisionismo. E quindi, la classe dirigente decida cosa fare e come intenda operare. Inutile incontrarsi durante irrilevanti cerimonie. Magari appronti, sin da subito, una conferenza per delineare un piano di difesa e rilancio della Costa degli dei. Sarebbe eresia pretendere una promozione della libertà di vivere con uno spirito proiettato nel terzo millennio? Anziché vagheggiare sulla “Calabria che fu”, s’interroghi sulla “Calabria che è” con acribia medievale e il rigore di un’analisi fondata sulla verità. E poi, magari, proponga qualche ideuzza sulla “Calabria del futuro” ponendosi obiettivi concreti nell’ambito di un orizzonte temporale che non sconfini nelle distanze misurabili in anni luce. Spesso la Calabria si ammanta di un pessimismo asfittico. E dimentica che il riscatto di ogni realtà, dai ritardi storici, economici e culturali nasce, prima di tutto, da se stessa. Il migliore investimento è quello che punta sulle proprie risorse, prima di tutto su quelle umane. Non servono i piagnistei lamentevoli e noiosi intrisi di autocommiserazione. Ma urgono progetti e coraggio. Le cose importanti di questo mondo traggono fondamento nella speranza che è tale se coniuga ottimismo e operosità. Concorde, persino l’insegnamento che proviene dalle cose di lassù. La Bibbia racconta della manna che iniziò a scendere dal cielo per sfamare il popolo d’Israele. Ciò accadde perché, tale popolo aveva avviato un lunghissimo cammino (e si stava per avvicinare al Monte Sinai al fine di ricevere la Torah). Rimanere chiusi nell’immobilismo e sperare ugualmente nella provvidenziale manna sarebbe un errore letale.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Il Quotidiano il 12 settembre 2015, p. 23