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Peppino e Micuccio De Carlo
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Il tempo della speranza
Peppino e Micuccio De Carlo
Politico di razza e amministratore intelligente e lungimirante. Pochi lo ricordano ma è stato, per molti anni e in diverse amministrazioni comunali, consigliere e assessore. Si è distinto per la capacità di individuare i problemi e la strada per risolverli ed era animato da uno spirito battagliero e instancabile. Si chiamava Peppino De Carlo. Zambronese di adozione (la sua famiglia proveniva da Santa Domenica di Ricadi ma si era trasferita a Zambrone prima della guerra) come i fratelli Francesco e Domenico e le sorelle Annunziata e Maria. Peppino De Carlo era un umile lavoratore agricolo dipendente ma aveva lo spirito del protagonista, era in possesso di un’oratoria trascinante ma aveva solo la licenza elementare, sapeva citare a memoria personaggi ed eventi storici ma aveva letto pochissimi libri. Sapeva farsi ascoltare da tutti perché il suo linguaggio era chiaro e stretto in una logica priva di orpelli e di inutili fantasie. Si impegnò in politica per pura passione perseguendo gli ideali della sua gioventù, lui che (classe 1915) era stato tra i primi richiamati allo scoppio della Seconda guerra mondiale e aveva combattuto in Francia e nei Balcani. Sostenne con onestà e coerenza i suoi ideali sia nelle elezioni politiche sia in quelle locali, poi piano piano comprese il mutare dei tempi e assunse un maggior disincanto e una sua personale autonomia di giudizio. Come amministratore comunale conobbe Giacomo Mancini. Quell’incontro lo portò sulla strada del socialismo da cui non si sarebbe più distaccato. Aveva una visione chiara dei problemi della comunità e intuì che Mancini, come grande uomo politico e socialista calabrese, avrebbe contribuito a risolverli. Fu tra gli organizzatori della visita del ministro dei Lavori pubblici , nella primavera del 1967, per conto dell’amministrazione comunale di cui era assessore e fece parte della delegazione che lo incontrò presso la federazione catanzarese del Partito socialista italiano (Psi) l’anno dopo, al termine di una memorabile serata che vale la pena di ricordare. La delegazione zambronese era composta da alcuni amministratori e da socialisti locali che avevano organizzato l’incontro. Il protrarsi della manifestazione e l’ora tarda rischiavano di mandare in fumo l’appuntamento, ma fu proprio Peppino De Carlo che con determinazione e con la sua voce tonante, ricordò al ministro l’impegno assunto mentre scendeva la scaletta del palco da cui aveva tenuto il comizio. Mancini lo guardò un po’ accigliato mentre i compagni della federazione si guardavano costernati, ma constatando che il suo interlocutore rimaneva fermo davanti a lui, sorrise e disse “E va buò, cumpà, scindimu a la Federazione” . Poco dopo si vide il lungo corteo delle auto al seguito scendere lungo il corso Mazzini per raggiungere la sede della federazione socialista, allora in Discesa San Nicola. L’incontro, peraltro, si sarebbe rivelato assai produttivo perché tutti i problemi proposti al ministro sarebbero stati risolti in pochi anni. Ma ancora prima Peppino De Carlo, che credeva nella forza della partecipazione e delle dimostrazioni popolari, si era reso protagonista di un’altra iniziativa in occasione della visita del presidente Fanfani a Vibo Marina per l’inaugurazione della “Nuovo Pignone”. In quell’occasione organizzò un folto gruppo di donne e giovani, armati di cartelli di protesta che reclamavano la costruzione delle case popolari e la fine della baraccopoli in cui si viveva dopo il terremoto del 1908. Ero presente e reggevo un cartello. Ricordo che la polizia ci osservava con una certa preoccupazione. Fanfani, che ben conosceva il problema per essere stato l’autore della legge che aveva permesso la costruzione di migliaia di case popolari in tutta Italia nel dopoguerra, notò i cartelli e fece chiamare il sindaco promettendo il suo interessamento. Vi sono, naturalmente, mille altri eventi piccoli e grandi che potrebbero essere ricordati a testimonianza di un amore per il ruolo pubblico fatto di pura passione e disinteresse personale. Certo i tempi erano diversi: il ruolo pubblico non comportava alcuna prebenda, nessun gettone di presenza, nessuno stipendio, nessun interesse particolare di soddisfare. Si guardava ai problemi della gente, alla necessità di superare l’arretratezza del paese, il suo degrado, la mancanza dei servizi più elementari che rendono l’uomo cittadino di un Paese libero. Fare l’amministratore comunale significava assumersi sul groppone i bisogni della collettività e cercare di soddisfarli: non c’era ancora il turismo che si svilupperà successivamente fino a costituire la struttura portante dell’economia zambronese. Peppino De Carlo ne intuì però le potenzialità contribuendo alla realizzazione del primo Programma di fabbricazione di cui si sarebbe dotato il comune, ma ne dette un’interpretazione rigorosa, mettendo insieme turismo e sviluppo dell’agricoltura vincolando ad obblighi rilevanti le aree di maggior interesse. Era la sua capacità di guardare lontano che lo sosteneva, insieme alla prospettiva di costruire un progresso per tutti e soprattutto per quelli che, come lui, non possedevano nulla, né terra né possibilità economiche. Un amministratore prestigioso e ricco di intelligenza, generoso e leale. Non aveva una grande parentela eppure ogni volta che si candidava riusciva sempre a farsi eleggere. Di maggioranza o di minoranza era presente nel consiglio comunale. Segno evidente che la popolazione lo considerava utile alla comunità e lo apprezzava.
Il fratello Micuccio era costantemente al suo fianco ma era diverso per carattere e modi di agire. Micuccio era portato ad industriarsi, ad assumere continuamente iniziative, si muoveva con agilità e sicurezza in tutti i campi, era versatile e sbrigativo, originale ed industrioso, Si interessava di politica e ne coglieva umoristicamente gli aspetti paradossali. Abile e sveglio, comprendeva al volo le situazioni complicate trovandovi rimedio con bonaria furbizia. Difficile manipolarlo. Impossibile ingannarlo. Micuccio (classe 1921) non partecipò mai direttamente alla vita politica ma interveniva nel contesto socio-politico con abili-tà. Sapeva risolvere le situazioni più intricate ed era un attivista formidabile, paziente e persuasivo. Pronto al dialogo con tutti, sapeva intuire i pensieri dell’interlocutore e tale qualità gli consentiva di prevedere gli eventi con notevole perspicacia. Entrambi molto legati alla famiglia accettarono il sacrificio di abbandonare il loro paese per aiutare e favorire il benessere dei figli. Due personaggi che hanno contribuito a far crescere la comunità ma entrambi destinati all’emigrazione. L’eterno dramma del sud. Tra fughe e ritorni, orgoglio e dramma. E l’emigrazione per Peppino ne avrebbe segnato il destino. Chissà cosa avrà pensato su quel treno che lo portò per l’ultima volta a Milano!
Salvatore L’Andolina
Pubblicato su Cronache Aramonesi, giugno 2008, anno IV, n. 3
Associazione culturale Aramoni - Storia e tradizioni del popolo di Zambrone
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