ELOGIO FUNEBRE IN MEMORIA DI DOMENICO MAZZITELLI
I giovani
«I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, coerenza e altruismo». Queste parole furono pronunciate da Sandro Pertini, socialista, partigiano, presidente della Repubblica italiana amatissimo da tutti i cittadini. «Ho votato per la Repubblica. Non ho mai preso parte alla contesa politica. Io, però, ho lottato per una prospettiva d’avvenire libera e positiva. Dico pertanto ai giovani di non consegnare il loro futuro nelle mani di nessuno, di non cedere alla rassegnazione e di essere sempre onesti», queste, invece le parole di Domenico Mazzitelli. Evidente, la sostanziale coincidenza di contenuti. Poco più di due anni fa ebbi l’onore di scrivere la storia di questo vostro concittadino. A tale proposito, il tempo trascorso insieme a Domenico Mazzitelli lo considero uno dei privilegi più importanti che ha segnato la mia attività giornalistica e la mia esperienza umana. Di primo acchito mi colpì la sua eleganza che si espresse in più direzioni. Nel linguaggio, grazie a un italiano d’altri tempi, asciutto e privo di avverbi, diretto e chiaro. Nella gestualità misurata. Nella cortesia relazionale. Mi mise subito a mio agio dimostrandosi signorile, gentile e affabile, i tratti tipici di un vero galantuomo. Durante gli incontri, non manifestò mai impazienza o distacco, ma sempre calorosa accoglienza e vivace interesse al dialogo. Queste furono le premesse e le condizioni in cui si articolò il lunghissimo racconto della sua vita. Un racconto circostanziato, vigoroso, a tratti tragico. La sua storia personale la conoscete tutti.
Un grande italiano
Domenico Mazzitelli fu prima di tutto un grande italiano. Cosa significa essere stato “Un grande italiano”? Significa avere amato la patria. E quindi, la sua gente, quel nucleo di valori che è il fondamento stesso del vivere civile. Un insieme che è frutto di lavoro, cultura, politica, impegno. E fu davvero un grande compatriota. Aveva partecipato alla guerra sul territorio francese (10-25 giugno 1940) e poi, arruolato nel “Battaglione monarchico divisione Sforzesca”, fu impegnato in Albania e nella Campagna di Grecia che ebbe inizio nell’ottobre dello stesso anno, dove rimase fino a gennaio del 1941. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 restò fedele all’esercito regio. Una grande testimonianza di fermezza e di tangibile amor patrio. Successivamente, posto di fronte a un bivio, scelse senza tentennamenti e dubbi di sorta la via maestra della libertà. E lo fece con ardore giovanilistico, animato da sentimenti nobili e sinceri. Obiettivo primario della sua azione fu quello di rendere l’Italia un Paese libero, democratico e solidale. Non è un dato scontato come apparentemente potrebbe sembrare. L’amore per l’Italia fu il faro di ogni sua decisione ed azione.
Un grande calabrese
Ma Domenico Mazzitelli fu anche un grande calabrese che andrebbe senza dubbi di sorta annoverato tra i giusti di questa regione. Tanto per essere chiari, andrebbe collocato nella stessa schiera di coloro che seppero opporsi a ogni logica e ad ogni sistema oppressivo, ignobilmente crudele e dittatoriale. Molti calabresi combatterono questa battaglia nella loro terra, come ad esempio Pietro Mancini. Altri, lo fecero fuori dai confini regionali; come Filippo Caruso. Domenico Mazzitelli portò sempre con sé i tratti tipici del calabrese. Lo fece, nelle sue campagne militari all’estero, dove, confidò più volte, ebbe modo di conoscere la gente del posto e ciò grazie alla sua innata curiosità e al suo modo di porsi, sempre rispettoso dell’altrui persona. Al termine della Seconda guerra mondiale avrebbe potuto assumere incarichi politici di primo piano. Rifiutò questa prospettiva per ritornare nella sua amata terra. «Avevo nostalgia dell’aria del Poro, dei colori della sua campagna -disse- e volevo vivere la quotidianità con semplicità». Con poche parole, ma toccanti e dense di significato, Mazzitelli testimoniò il suo amore per la propria terra. Soprattutto diede un esempio che ieri come oggi verrebbe definito controcorrente. Accantonata l’opzione della carriera politica che pure sarebbe stata legittima, scelse un profilo che privilegiava l’aspetto e la dimensione umana sopra ogni altro.
Un partigiano
Ma Domenico Mazzitelli va ricordato, soprattutto, per la sua azione di partigiano. Operò in Piemonte; nome di battaglia “Rosina”. Nel raccontare la sua storia fu lui stesso a offrire i dati della sua lotta contro il nazi-fascismo. «Dal 30 giugno 1944 fui aggregato al “Battaglione sabotatori”. Il reparto -dichiarò- era guidato da un partigiano di eccezionale coraggio e intelligenza, si chiamava Carlo Riboldazzi ed eseguiva le direttive della famosa “Brigata Garibaldi - divisione Valsesia” capeggiata dall’eroico Cino Moscatelli». Per Domenico Mazzitelli, questa lotta, così dura in cui più volte la sua vita fu messa a repentaglio, fu la più bella e la più importante della sua vita. Sempre, quando si parlava di questa fase, si entusiasmava come un ragazzino. I suoi occhi si riappropriavano della stessa espressione della gioventù. Diventavano scintillanti, vispi, attenti e curiosi. Il suo cuore si scaldava. Misurava le parole che erano tuttavia intrise di passione e di un’idealità che caratterizza solo i grandi uomini. Partecipò ad oltre cinquanta operazioni. Un numero altissimo che è un’ulteriore conferma del suo amore per la vita! Potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è. La sua scelta di aderire alla causa partigiana fu, soprattutto, questo. Una testimonianza di amore per la vita. Perché la vita per sua stessa natura ha bisogno di idealità e di valori. Senza, sarebbe una sterile passeggiata nel tempo. E invece la sua battaglia fu una corsa, feconda di positivi risultati. Con il suo esempio, con la sua azione, decisa e determinata, omaggiò la libertà e quindi, appunto, la vita! E questo suo impegno, così concreto e così idealistico al contempo è un esempio per la sua comunità, per la nazione intera e per l’umanità, oggi più che mai bisognosa di ricostruire o difendere un sistema di valori minacciato da intollerabili rigurgiti di violenza antisemita, ideologie totalitarie e fanatismi religiosi. Domenico Mazzitelli personificava il sorriso della libertà. Libertà da ogni forma di oppressione, politica, culturale ed economica. Per lui la libertà non era semplicemente un diritto cristallizzato dalla legge. Era molto di più: un modo di essere; la stella che illumina la condizione umana e la orienta. Un’idea di libertà che, lungi da ogni settarismo, aveva condiviso con i suoi amici partigiani, finalizzata a costruire un modello sociale e istituzionale rispettoso del pluralismo democratico. Sul modello di Giacomo Matteotti e di altri martiri della libertà.
Marito, padre, cittadino
Domenico Mazzitelli fu anche un marito che stabilì con la compagna della sua vita, Rosa, complicità e mutua dedizione. Come ogni padre, ebbe sempre a cuore le sorti dei suoi cinque figli: Enza, Maria, Olga, Tonino e Saverio. La loro vicinanza e l’assistenza, specie di Saverio, negli ultimi anni della sua vita, il logico corollario di un’educazione improntata all’amore. Fu un cittadino modello. Mai una parola sopra le righe, mai un gesto inopportuno, sempre ligio al rispetto della legge scritta e di quella naturale. La dignità del suo comportamento, così sobrio e rigoroso, un esempio encomiabile per le attuali e future generazioni. Una persona di questo paese mi ha detto le testuali parole: «Domenico Mazzitelli ha sempre goduto e sarà così anche per il futuro, della stima e della gratitudine di tutti i suoi compaesani». Parole semplici, toccanti che esprimono con saggezza antica i sentimenti di un’intera comunità. E non a caso, ieri, il suo feretro è stato omaggiato da così tanta gente. Il figlio Tonino a molte persone incuriosite dalla presenza, nella bara, di una cartucciera ha ricordato un aspetto apparentemente secondario del modo di vivere del padre, l’amore per la natura. Domenico Mazzitelli era stato anche un valente cacciatore. A seguito di una battuta di caccia si procurò una distorsione alla caviglia che non gli permise di partire per la Campagna di Russia. Probabilmente, questa passione, coltivata poi per sempre, gli risparmiò la vita. Per lui, la caccia, rappresentò il momento più alto della simbiosi con la natura. Una simbiosi, utile per addentrarsi nelle meraviglie del Creato.
Senza retorica
In circostanze come queste, il rischio che le parole si adagino su una conformistica retorica è altissimo. Ciò rappresenterebbe un torto alla memoria di un uomo che ha sempre vissuto con la tenerezza nel cuore e l’idealità nella mente. Una barriera infrangibile è data dalla sua esercitata capacità di donare amicizia. In un mondo sempre più povero nella sua dimensione umana, non è un dettaglio. Ma cosa resta dell’amicizia quando anche questo nobile sentimento sembra sfumare e dissolversi nel mistero della morte? Restano i ricordi e ancora di più quella complicità segreta o palese con cui si è condiviso un tratto di vita. Un tratto che a volte si è articolato in un arco temporale ampio, in altri, brevissimo, ma non meno intenso. E allora, dell’amicizia resta la ricchezza di un gesto, la forza comunicativa di una parola spesa nel momento giusto, il sorriso rassicurante che travalica l’ordinarietà e contribuisce a rendere speciale l’esperienza terrena. Tutto ciò lo ha saputo donare tanto ai suoi cari quanto ai suoi amici, appunto. Domenico se ne è andato in una giornata invernale. Il freddo non annichilisce un’immagine di vita che resiste e s’impone con la forza della memoria e dell’affetto. La Calabria, specie nelle sue realtà periferiche, talvolta sembra essere spoglia persino della speranza. Ma poi emerge in tutto il suo splendore la bellezza dei suoi luoghi e ancora di più delle sue persone, come Domenico Mazzitelli. E allora piace ricordare Domenico immerso nella natura della campagna zaccanopolese, con il suo fucile da caccia e la cartucciera, con il suo delicato volto accarezzato dalla brezza che sale dalla marina. Piace ricordarlo mentre attraversa pini, lecci, querce, ciliegi, accompagnato dal profumo inebriante degli agrumi, dai colori vivaci delle violette e delle ginestre, e dal canto di tordi, bottacci, quaglie, allodole e beccacce. Durante la sua esperienza di combattente per la libertà, conobbe il dolore, le atrocità della guerra, la morte. Ma Domenico Mazzitelli aveva capito alla perfezione una verità: la vita è un valore non negoziabile che va vissuta con intensità, passione, amore. E ciò si traduce, in buona sostanza, nel coraggio di scegliere la via della verità. Non nella sua dimensione astratta, ma in quella tangibile che diventa prassi sia in circostanze straordinarie che in quelle ordinarie. E allora, affiora un altro aspetto peculiare della sua personalità, il sentimento della giustizia, inteso come capacità di valutare ogni circostanza e di indirizzarsi verso il bene. Sentimento ma anche valore, maturati soprattutto nella sua amata Valsesia, durante la sua esperienza di partigiano. Non a caso, la sua intelligenza mai si è colorata d’indifferenza, né adagiata su scelte ispirate da un mediocre “quieto vivere”. Innanzi al mistero della morte, sorgono spontanee tante domande. Il piccolo principe di Antoine Saint-Exupéry si chiese: «Dove vanno le persone quando scompaiono? E dove restano?». La fede nel Risorto ci suggerisce una risposta, al primo interrogativo, che rimanda alla dimensione trascendente. Possiamo però indicare con umana certezza la risposta alla seconda domanda che non richiede dotte elaborazioni. Il riscontro è semplice. Le persone care, quando muoiono, restano nell’educazione, nei pensieri, nei ricordi; semplicemente, nel nostro cuore. Vale anche per Domenico Mazzitelli, il quale, inoltre, sarà sempre un solido riferimento nella coscienza civile di Zaccanopoli, della nazione e di quanti amano la libertà.
Zaccanopoli, 19 gennaio 2015
Corrado Antonio L’Andolina