Zambrone. Il religioso scomparso qualche giorno addietro, figura molto apprezzata
DON MUSCIA, INDIMENTICATO UOMO DI FEDE
In un’intervista aveva espresso tutto il suo affetto per la comunità di San Giovanni
di Corrado L’Andolina
ZAMBRONE - Ci sono varie tipologie di sacerdoti. Per esempio, quelli che muoiono per la fede in Cristo, i missionari, coloro che hanno il cuore colmo di carità e di entusiasmo per la vita e non si lasciano trascinare dalle umane contingenze. Don Francesco Muscia apparteneva a questi ultimi. Scomparso qualche giorno fa, don Muscia dal 2000 era stato assegnato alla cura delle anime di Tropea. Fino alla data della sua morte era parroco presso il santuario dedicato a “San Francesco di Paola”. Dal 1973 e per ben 27 anni aveva esercitato la sua funzione religiosa a Caria, frazione di Drapia. E prima ancora a San Giovanni di Zambrone. Il 21 dicembre 2012 per omaggiare l’inizio del decimo anno dall’inaugurazione della nuova chiesa, la parrocchia “Santa Marina”, della frazione San Giovanni, realizzò varie iniziative. Fra queste, anche l’intervista ai vari parroci succedutisi nel tempo. Don Francesco Muscia, infatti, era stata la guida spirituale dei sangiovannesi per quasi cinque anni (1969-1973). Nell’occasione concesse l’intervista immediatamente. Accolse l’intervistatore con gentilezza e ospitalità. La sensazione fu quella di un uomo solido nella sua dimensione umana e concreto nell’agire. Era dotato di una sottile ironia e conosceva profondamente l’animo umano. Prima dell’intervista testimoniò le difficoltà collegate al restauro degli edifici religiosi e si soffermò su quello tropeano del santuario dedicato a “San Francesco di Paola”, per il quale si spese con energia. «Le chiese -disse quasi a mo’ di introduzione- prima di tutto sono la casa del Signore. Spesso esprimono anche una ricchezza artistica e architettonica impareggiabile. E quindi, nei loro confronti, necessita una costante dedizione». Un’accoglienza inedita che colpì per il suo modo delicato di prospettare una peculiare relazione fra l’immanente e il trascendente. Per tutta la durata dell’incontro fu affabile e cortese. Poi iniziò il suo racconto. «Su San Giovanni mantengo il mio ricordo più bello». Fu questo l’incipit della sua intervista che continuò in questi termini: «La parrocchia di San Giovanni, infatti, fu la prima ad essermi stata assegnata dopo la mia ordinazione sacerdotale. I sangiovannesi erano molto devoti e frequentavano assiduamente la chiesa. Insomma, un popolo religiosamente molto unito. Per qualche tempo abitai sul posto. La canonica era una casa popolare. Ricordo in particolare modo le donne. Spesso andavo in chiesa e le trovavo intente a pregare. Molto venerato il culto dei defunti, tante le messe in suffragio dei cari estinti». Questi i passaggi nodali della sua testimonianza. Il parroco poi aggiunse: «Me ne andai da San Giovanni perché il vescovo mi propose la parrocchia di Caria che era più vicina alla mia abitazione di Tropea. I fedeli manifestarono dispiacere, ma assecondai, naturalmente, la volontà del vescovo». Infine, un ultimo ricordo ai parrocchiani che aveva conosciuto da vicino: «Il popolo viveva la fede con semplicità e genuinità». Un tempo nelle chiese si pregava affinché le vocazioni sacerdotali fossero numerose. In una società sempre più individualistica e secolarizzata questa preghiera sembra scomparsa. Eppure, il ruolo dei sacerdoti è eternamente attuale: amare Cristo che non si vede e renderlo evidente nell’amore per il prossimo. Un compito assolto da don Francesco Muscia per l’intera durata del suo sacerdozio.
Pubblicato su Il Quotidiano il 19 gennaio 2015, p. 14