LE REGIONALI E LA VOCE DEL CAPOTRENO
La voce del capotreno s’è arrochita a furia di urlare “Signori in carrozza”. La ressa è stata grande e lui stesso ha rischiato di rimanere tagliato fuori dal carro, ormai affollatissimo. Non c’è più posto. O forse sì. Un angolino si trova sempre per chi decide di saltare all’ultimo minuto sul carro. Del vincitore naturalmente. O presunto tale o sospettato tale o creduto tale. Oltretutto nessuno gli chiede cosa porti, cosa dà, cosa farà. Ma se nessuno glielo chiede è lui stesso che si affanna a spiegarlo, al colto e all’inclita, con un articolo sul giornale, un annuncio pubblico, un’intervista all’emittente compiacente e così apprendiamo -caro amico ti scrivo, questa è la novità- in Calabria le cose vanno male, anzi malissimo; è tempo di rimboccarsi le maniche, è tempo di abbattere la politica degli sprechi, è tempo di pensare se-ria-men-te ai giovani, è tempo di dare una frenata all’emigrazione dei cervelli calabresi. Il tutto accompagnato dalla solita analisi della crisi che non è solo italiana, è europea e mondiale ecc. ecc. E noi -loro- abbiamo la ricetta per questi problemi e restituiremo alla Calabria l’immagine ritratta da Leonida Repaci, quella della prima parte del suo famosissimo brano, non l’altra, quella dell’intervento demoniaco che l’ha ricoperta di tutti i mali del mondo, ‘ndrangheta compresa di cui pudicamente e anche stranamente quasi nessuno di lor signori fa menzione nelle articolesse, interviste, dichiarazioni, ecc. I Calabresi assistono a queste incredibili sarabande con quel tanto del cinismo assorbito dalla loro storia, dalla loro disposizione d’animo che li porta a non sorprendersi più di niente che tanto peggio di così non può andare. Abbiamo il reddito medio più basso, siamo la regione più povera, abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile più alto d’Europa, ci sono calabresi che vivono in aree in cui il controllo dello stato è, per così dire, formale, guardiamo la nostra costa impropriamente chiamata degli dei e la vediamo affogata dalle colate di cemento, e mi fermo qua rendendomi conto di potermi beccare l’insulto più alto dell’intellighenzia nostrana, qualunquista! Invece no. Sono solo amareggiato come molti calabresi, deluso, rattristato, anche arrabbiato mentre mi risuonano nella mente i versi del Giusti nel Brindisi di Girella: “Viva chi sa tener le orecchie tese/Quante cadute si son vedute/Chi perse il credito/Chi il fiato/Chi la collottola/E chi lo stato/Ma capofitti cascaron gli asini!/Noi valentuomini/Siam sempre ritti/Mangiando i frutti /Del mal di tutti”. Tutto qua? Tutto qua! La politica, quella che risponde all’origine della parola e che impone di mettere al centro i cittadini, la loro vita, le loro famiglie, i bisogni, l’istruzione, la cultura, l’umanità, i meriti, la sicurezza, il diritto non si trova. Non c’è. Sarà perché la scomparsa delle ideologie ha comportato anche la scomparsa delle idee, sarà perché in fondo la classe politica si è gradatamente persuasa che è meglio così, ossia meglio navigare a vista senza la scocciatura di leggere e capire Pareto e Marx, Weber e Tocqueville. Sarà soprattutto perché la globalizzazione ha reso inutili le idee delegando ai poteri economici anche le sovrastrutture dell’individualità. E così che la società calabrese è stata ricacciata nell’abulia, avvolta nelle nebbie della mediocrità politico-culturale, nella sciatteria della propaganda senza richiami ideali. In fondo contano solo i voti, ultimo apparente feticcio delle società postdemocratiche e per quelli si è disposti a tutto perché il potere non è solo qualcosa che appaga l’animo ma porta opportunità e soldi, rispetto e onori. E tutto questo porta ancora altri voti. Cesare diceva: “Con le legioni avremo i soldi e con i soldi avremo le legioni”. Che gli imbarcati dell’ultima ora abbiano studiato a fondo Cesare?
Salvatore L’Andolina
Pubblicato su Il Quotidiano il 15 novembre 2014, p. 25