TRA MODERNITÀ E VECCHI PROBLEMI
di Corrado L’Andolina
L’estate del 1985 si apre con una canzone dal titolo paradossale: “L’estate sta finendo”. Dopo poche settimana, il testo dei Righeira materializza la sua ineluttabile attualità. I sorrisi che avevano accolto il brano cedevano il passo all’inebetito rincrescimento e alla sorpresa con cui il tempo aveva divorato le settimane più attese dell’anno. Ai primi di settembre, il melodico testo nazional-popolare trionfò al Festivalbar, evento musicale e televisivo cult del periodo. E come per incanto, cessò di essere puntualmente canticchiata dai giovanotti e dalle signorine del tempo. L’inizio della scuola era ormai alle porte; il requiem per l’estate. La moda degli zaini non si era ancora imposta; molti preferivano il vecchio elastico, più pratico e sbarazzino. Gli eletti che disponevano di un paio di Timberland le lucidavano per l’imminente stagione autunnale. La quasi totalità si recava nelle cartolibrerie ad acquistare libri e oggetti vari mancanti. Segno distintivo generazionale, gli occhiali Bollé con montatura in cellulosa. Comune denominatore, la prevalenza dell’interesse per l’avvio di un nuovo ciclo finalizzato all’apprendimento e alla conoscenza. E oggi? Rispetto a qualche lustro fa, si registrano piccoli cambiamenti. La canzone che ha spopolato in mezza Europa, comprese le coste vibonesi, è stata “Prayer in C” di Lilli Wood & the Prick (Robin Schulz remix). Un brano, a volerlo ascoltare bene, non proprio estraneo alle sonorità anni Ottanta. Ma tanti sono i mutamenti nel costume e nella coscienza individuale e collettiva. La scuola è fra le più interessate. In trent’anni di riforme e riformette tutto o quasi è cambiato. Il riferimento non è soltanto all’organizzazione burocratica. Sarebbe interessante invece comprendere alcuni passaggi di natura, latu sensu, culturale. Qual è l’idea di scuola da parte della politica e degli insegnanti? Un luogo di formazione della personalità o una cinghia di trasmissione di conoscenza e metodo d’apprendimento? È auspicabile che prevalga, come fino agli anni Ottanta, la seconda idea, perché coerente e necessaria a una democrazia liberale. Il sistema-Italia è entrato in crisi insieme, o più probabilmente in seguito, all’indebolimento del sistema scolastico. Alla scuola nel corso degli ultimi anni sono state demandate funzioni di supplenza familiare e sociale. Un’idea perversa, che ha attenuato la sua prioritaria funzione tesa all’istruzione ed ha degradato il valore della meritocrazia. Al Sud e in una provincia come Vibo Valentia, la questione è ancora più problematica. Fino agli anni Ottanta, gli studenti hanno vissuto nella granitica certezza che l’impegno, il rendimento, i voti positivi, l’approfondimento avrebbero avviato una carriera scolastica prima e professionale poi, degna di soddisfazione. La scuola, insomma, era il grimaldello per l’accesso al futuro. Un’istituzione affidabile e bene organizzata deputata alla formazione linguistica, tecnica, letteraria, scientifica dell’allievo. E oggi? I dati sulla disoccupazione nella provincia vibonese non sono dissimili da quelli di un qualsiasi Paese del Terzo mondo. Per i diplomati e per i laureati l’occupazione è un miraggio. Urge un cambio di rotta che necessita di un chiaro presupposto: recuperare la scuola nella sua dimensione più nobile, alta e significativa: un centro che trasmette sapere e insegnamenti letterari, matematici, fisici, storici, chimici, filosofici e così via. Anche perché, oggi come ieri, cosa c’è di più bello, per un bimbo della scuola primaria che leggere “Cuore”, “Pinocchio” o “I viaggi di Gulliver”? E per un ragazzo della scuola secondaria di primo grado, esiste emozione più intensa che addentrarsi nel fascino della Storia dell’arte? E per un allievo delle superiori, cosa c’è di più curioso che scoprire le leggi del cosmo, la teoria della relatività, i principi della termodinamica? Oppure addentrarsi nell’ordinamento giuridico nazionale ed europeo? Per non parlare dei dubbi illuminanti della filosofia socratica o di quelli più recenti di Karl Popper. Per ogni ordine e grado, scoprire la letteratura calabrese, dai capolavori di Saverio Strati e Corrado Alvaro, ai romanzi di Leonida Repaci, dalle leggende di Richelmo da Cerzeto, ai racconti di Nicola Misasi e alle poesie di Lorenzo Calogero; il tutto, corredato dai saggi critici di Pasquino Crupi. Occorre rieducare i ragazzi al sacrificio per l’apprendimento, all’esercizio fisico delle poesie studiate a memoria, alla scoperta della lettura ad alta voce, al piacere della scrittura, alla padronanza della lingua italiana (e inglese). In una provincia che negli ultimi trent’anni è arretrata su ogni fronte, specie economico e culturale, una scuola efficiente ed efficace è un’insopprimibile ed urgente priorità.
Pubblicato su Il Quotidiano il 15/9/2014, p. 16