COSTELLAZIONE LIRA
La lira. E qualcuno potrebbe sorprendersi e sbarrare gli occhi ripensando, non senza qualche rimpianto, alla soppressa moneta sostituita dall’euro. E qualcun altro, giovane, cresciuto in questo primo quasi quindicennio del terzo millennio dell’era cristiana, potrebbe sorprendersi ancora di più domandandosi se non si tratti della lira della Turchia, nazione dove moneta con quella denominazione ha ancora libero e felice corso. Ma i più riandranno con il pensiero, grazie alle puntuali repliche di Rai e Mediaset nel periodo pasquale, alla sequenza del film Quo Vadis in cui Peter Ustinov , nelle vesti dell’imperatore Nerone suona la lira mentre Roma brucia. E costoro, con giustificabile ma non giustificata apprensione, si saranno formata un’idea non proprio entusiasta della lira. Qui ora bisogna andare per ordine e chiarire subito che la lira suonata da Nerone di origine cretese (a pizzico), frutto di svariate manipolazioni e correzioni dell’originario strumento probabilmente importato in Grecia dall’Africa o dal medio oriente in tempi remotissimi, era assai diversa dalla lira che ci interessa (a corde con archetto). Va detto, tuttavia, che in tutte le sue versioni lo strumento di cui vogliamo parlare contrapponeva le note dell’equilibrio, della misura e della sonorità melodica a quelle rapide, insistenti e ossessive del flauto. Come dire che il flauto, in origine, era lo strumento che accompagnava le cerimonie e le festività in onore di Bacco, cui era dedicato. La lira (o lyra) ristabiliva l’ordine melodico, induceva alla serenità dello spirito, richiamava la perfezione delle forme, la profondità del pensiero e del sentimento, la dolcezza e la serenità nell’osservazione della natura ed era dedicata ad Apollo (Febo per i Greci). Non a caso dalla lira prendono il classico attributo la poesia lirica, la musica lirica, l’opera lirica, il canto lirico, ecc. Concetto questo che non ricorda soltanto come nell’antica Grecia e a Roma i versi dei poeti del sentimento erano recitati al suono di quello strumento, ma come fosse il suono dello strumento a determinarne le caratteristiche. La lira che ci riguarda è arrivata in Calabria portata dai Bizantini nell’alto medio evo ed ha assunto l’attributo di calabrese quando si cominciò a costruirla con materiali reperibili in Calabria (ciliegio o pioppo), con le tre corde, correnti parallelamente alla cassa e l’archetto di olivastro con corde di crine animale. Assume la vaga forma di un violino che si assottiglia verso l’alto ed emette un suono dolce, intriso di tenera, e quasi rarefatta tonalità che richiama le melodie ripetitive della natura. Lo strumento, da una quasi estinzione registrata nel periodo tra le due guerre mondiali, ha avuto un forte rilancio in ragione del risvegliato interesse per la musica popolare a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso. Anziani suonatori e costruttori esistevano ancora prima nella zona di Locri (Siderno e Gerace) e del Poro (Spilinga) ed è loro merito se della lira calabrese non si sia persa memoria se non per qualche esemplare da ammirare nei musei. Maestri come Francesco Staltari di Gerace, Giuseppe Fragomeni di Siderno e Reginaldo D’Agostino di Spilinga hanno continuato a costruire e suonare la lira quando nessuno, tranne qualche appassionato cultore, si occupava di musica popolare. Successivamente, quando il genere si diffuse -non sappiamo se e quanto conservando le caratteristiche dell’antico folklore- anche i costruttori e i suonatori di lira si moltiplicarono rinverdendo il successo della tonalità dolcemente cantilenante dello strumento che fu subito associato, specialmente per il suono e il ballo della tarantella reggina, all’organetto, al tamburello ed al friscarotto, strumento quest’ultimo vagamente assimilabile al flauto, costituito da un tubo cilindrico ricavato da canna secca, ancia in genere di salice e una serie di fori anteriori ed uno solo posteriore. Alla lira (o meglio, alle lire calabresi) questa edizione 2014 del Tamburello festival, ancora una volta curata e organizzata dal Centro studi umanistici e scientifici Aramoni, è dedicata. Si è trattato di una scelta meditata sebbene da tempo contemplata come ineludibile dal nostro Centro studi Aramoni almeno per due motivi. Il primo si richiama allo strumento in sé, come originalità artistica ed artigiana esclusivamente calabrese. Non esiste, in tutto il mondo, uno strumento musicale assimilabile sebbene esistano varie tipologie di lira. E non esistono, in tutto il mondo, costruttori e suonatori del medesimo strumento abili e preparati come quelli formati in Calabria. Si dirà da parte di qualcuno -con qualche accenno di proterva supponenza- che tutto sommato non si tratta di geni della musica paragonabili ad Andrés Segovia o a Uto Ughi. E si commetterebbe l’ennesimo errore di valutazione. Certo questi nostri maestri della lira, è lecito supporre, che non abbiano frequentato i grandi conservatori musicali e non abbiano calpestato il pavimento dell’Accademia di Santa Cecilia. Sono legati alla musica ed al loro strumento, dalla passione dall’amore per la loro terra e da quell’innato senso dell’arte onesto e disinteressato in cui consiste il vero substrato dell’anima dell’artista. Si riconoscono nell’essenza dei valori in cui si è forgiata la loro cultura e l’hanno riproposta al pubblico con lo stesso amore e disinteresse con cui l’hanno sentita loro stessi. Ecco perché li apprezziamo e li esaltiamo come rappresentanti non di una cultura subalterna ma di una cultura che è altro rispetto a quella proposta ed imposta dai media. Si tratta di un assunto che se non è percepito, come dovrebbe, dal gusto corrente governato dai grandi network che preferiscono indirizzare i giovani verso i concerti assai meglio pubblicizzati e osannati delle rockstar, trova però buon seguito tra gli uomini, le donne e i giovani che onorano con la loro partecipazione massiccia e gioiosa il nostro Tamburello festival da più di dieci anni e che trova anche riscontro nelle molte manifestazioni estive calabresi in cui il recupero della musica etnica con i tradizionali strumenti è tornata prepotentemente di moda. L’altra ragione della nostra scelta si incentra sul valore simbolico oltre che musicale delle lire calabresi. Le lire, con il loro suono chiaro e fluente, che sembra quasi un lamento o un richiamo, un sorriso ammiccante o un incipit orchestrale, un viatico d’affetto o un invito a meditare. Le lire come emblema storico della musicalità della regione o come prodotto dell’orgoglio artistico e artigianale calabrese. Qualcosa che altrove non c’è. Come il bergamotto. O come la cipolla rossa di Tropea. O come Pentedattilo. O come i Megaliti di Nardodipace. O come… il Tamburello festival di Zambrone 2014!
Salvatore L’Andolina
(Presidente onorario del Centro studi umanistici e scientifici Aramoni)