MODELLI CALABRESI DI SANTITÀ FEMMINILE
Pagine memorabili sono state dedicate alle donne. Il loro operato, i suggerimenti, la bellezza, sempre fonte di opere ed interventi, ma anche di guerre e distruzioni. Le tragedie greche hanno spesso nelle donne le loro protagoniste: Ecuba, Elettra, Medea, Antigone. E così la letteratura moderna: Jane Eire, Anna Karenina, Madame Bovary. La storia religiosa occidentale è altresì costellata da numerose donne. Nel Vecchio Testamento, ad esempio: Maria sorella di Mosé, Noemi, Ruth, Giuditta, Ester, Elisabetta (madre di Giovanni Battista). E così nel Vangelo: Maria, le sorelle Maria e Marta, Maria di Magdala. Nella sua bimillenaria storia il cristianesimo annovera poi circa millecinquecento sante. È possibile tratteggiare una tipologia di «donne sante»? Con tutti i limiti che presenta la schematizzazione Ronda de Sole Chervin, nel libro “Donne sante: storia di duecento donne”, (Libreria Editrice Vaticana, 2005) le ha suddiviso in varie categorie. Martiri, vergini, fondatrici di ordini e congregazioni religiose, riformatrici della Chiesa e di ordini religiosi religiose e così via. E le sante calabresi? Una regola fondamentale della santità è l’adesione alla legge dell’amore: verso Gesù e il prossimo. E allora si può affermare che in tante famiglie calabresi, specie in quelle del passato, esiste un modello di “santità femminile”. La “santità” delle donne appartenenti alla generazione dei genitori o dei nonni che hanno speso la loro vita nel duro lavoro sui campi. La “santità” delle madri che tra mille difficoltà hanno garantito la possibilità di conquistare un titolo di studio e, quindi, una professione, ai loro figli. La “santità” delle donne emigrate che hanno speso qualche anno nelle valli bergamasche prima di ottenere un trasferimento, del loro impiego, nella propria terra d’origine. La “santità” di quelle donne che sono emigrate e non hanno avuto mai più la possibilità di farvi ritorno. La “santità” di chi tiene aperte le porte della propria casa ed è sempre pronto ad offrire ospitalità. La “santità” di chi ha educato un amico, o i figli di un amico, con la stessa amorevolezza di una madre. La “santità” di chi ha speso la parte migliore della sua vita a crescere la prole. Modelli di santità femminile che hanno in comune dolcezza e ardore, zelo e carità. Allo stato, due le sante calabresi canonicamente riconosciute. La prima è santa Domenica. Scarne le notizie sulla sua vita. Pare nacque intorno al 287 a Tropea. Di nobile famiglia professò la fede con ardore e purezza. Per tale ragione venne tortura e sottoposta a molteplici violenze. Ma la santa non solo non rinnegò la fede ma col suo esempio convertì al cristianesimo altre persone. Condotta in un’arena della Campania, i leoni le risparmiarono la vita. La santa venne dunque decapitata. Più recente la storia della beata suor Elena Aiello. Nata a Montalto Uffugo nel 1895, rimasta orfana da bambina, si prodigò ad aiutare la famiglia con vari lavoretti. Entrò come novizia nelle Suore del Preziosissimo Sangue. Dopo qualche tempo si ammalò gravemente e la congregazione la inviò a casa valutando imminente la sua morte. Invece Elena ebbe un’apparizione di Gesù: le disse che sarebbe guarita ma il Venerdì Santo di ogni anno avrebbe portato sul suo corpo i segni della Passione. E così avvenne: per tutto il suo umano percorso di vita, nel giorno della morte di Gesù avrebbe sudato sangue e sperimentato le stigmate; segni che poi scomparivano ogni Sabato Santo. Questa esperienza la spinse a dare vita a Cosenza a una nuova congregazione religiosa, l’Istituto delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Nelle regole indicò la Passione di Gesù come riferimento spirituale e la carità testimoniata da san Francesco da Paola come costante esempio e riferimento. Fondò alcune strutture per gli orfani e un istituto magistrale per assicurare un futuro alle ragazze uscite dall’orfanotrofio. Morì nel 1961 a Roma dove si era recata per aprire una nuova casa. Non mancano poi altri esempi di donne destinate alla santità, fra cui quello di Natuzza Evolo, la mistica di Paravati e di Irma Scrugli, cofondatrice con il Venerabile don Francesco Mottola dell’Istituto delle Oblate del Sacro Cuore. Anche in Calabria, insomma, la santità che si declina al femminile offre una prospettiva di vita perennemente rinnovata nel segno dell’amore di Gesù.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Parva favilla - Anno LXXIV gennaio-maggio 2014.