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VIVA IL TAMBURELLO. DA DIECI ANNI TUTTI IN CERCHIO
Il 18 agosto a Zambrone il festival cresciuto di edizione in edizione, senza alcun finanziamento pubblico. Ecco il programma
Eduardo Meligrana - ZAMBRONE
Un caleidoscopio di emozioni e ritmi evocativi. Un percorso attraverso quello spazio residuale costituito dalla cultura folk lorica impegnata nella difesa delle proprie radici. È il “Tamburello Festival” che da dieci anni richiama a Zambrone decine di migliaia di persone. “Tamburello” è il luogo dove la ricca e vibrante cultura calabrese e meridionale è di scena. La musica, la poesia, il canto, il ballo, le antiche consuetudini introducono all’identità della Calabria. Ad organizzare il Festival il Centro studi umanistici e scientifici “Aramoni” presieduto da Corrado L’Andolina che, con decine di appassionati, anima la significativa kermesse del Vibonese. Un appuntamento fisso che si celebra il 18 agosto, preparato con cura e accompagnato da laboratori di musica tradizionale. Un successo cresciuto di anno in anno, senza peraltro l’ausilio di finanziamenti pubblici. Dedicato a Walter Guido, sonaturi dei Lisarusa, “Puntati su dieci rote” è il tema del 2013. Un richiamo al passo in punta di piedi della danza popolare, al numero tondo dell’edizione di quest’anno e alle rote, cerchi di persone che sviluppano il ballo folk. Rote che, fuor di metafora, vogliono marcare l’identità calabrese. Prima che con la musica, il “Tamburello” si aprirà con le parole di Giusy Staropoli Calafati, poetessa che racconta la Calabria in chiaroscuro, nella sua crudezza e nella sua struggente bellezza. Il poeta, d’altronde, è il rappresentante della memoria. Accompagnata da un trio di suonatori, Staropoli canta storie personali che hanno il carattere dell’universalità. “Una bottega calabrese” e “Aspromonte, terra santissima” sono le liriche. Ad aprire canti e balli Pietro Adduci, una personalità della musica calabrese. Pur senza dimostrarli, Adduci ha ottant’anni, il volto maturo e garbato di chi sa amministrare sapientemente il respiro. Porta “i suoni”, come viene chiamata la zampogna da quelle parti. Figlio della tradizione di zampognari di una comunità del Pollino: Alessandria del Carretto. Una musica capace di trascinare in un universo parallelo, in cui le note hanno forza evocativa. Perfino alcune tipologie di strumenti sono legati a momenti dell’anno. Come quando, ad esempio, si uccideva il maiale, un rito durante il quale i ragazzi suonavano il cupa cupa, un recipiente ricoperto da una membrana animale, con una canna lunga e sottile, di cui parla Carlo Allevi nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli”. Strumenti semplici, eredità di un mondo che così rivive. Il padre di Pietro, Vincenzo Adduci, era uno dei più apprezzati suonatori di zampogna a chiave. Ad Alessandria del Carretto, ancora oggi, i giovani suonatori propongono un tipo di sonata a zampogna detta “Sonatë i Reveghë” (così viene chiamata la famiglia Adduci). Assiene ad Adduci, Francesco Lesce ed Alessio Bressi, cultori della chitarra battente e dell’organetto, conosciuti come i “Dericati”, l’equivalente di radici. In una sorta di viaggio nel tempo, con l’anziano maestro Adduci suonerà Elisabeth Morabito, ragazza prodigio di Potenzoni di Briatico, il paese dell’Infiorata. A dispetto dei suoi nove anni, Elisabeth è diventata punto di riferimento per i coetanei. Dalla “sonatura” sicura, Elisabeth ha scoperto e coltivato la passione per la musica popolare, grazie al “Tamburello”. Solare e sorridente, abbina la spensieratezza della giovanissima età con il talento naturale per il “due bassi calabrese”, quelle tonalità forti che s’impongono nelle piazze. Arrivano dall’Alto Salento gli Skaddia. Fichi secchi, in dialetto pugliese. Nati per omaggiare melodie, nenie e stornelli della loro terra, il repertorio musicale degli Skaddia trae origine da vicende trasmesse oralmente. Le tramandanti, le chiamano. Al femminile, forse perché vita e memoria camminano su binari paralleli. Sono infatti ricordi vivi, consuetudini che hanno scandito il vissuto di generazioni. Dai canti d’amore a quelli per il lavoro nei campi, fino alle pizziche nelle varie declinazioni. Quella di San Vito dei Normanni, di Carovigno, di Ceglie Messapica e di Ostuni. Rapisce la musica degli Skaddia, invita a polke e quadriglie che restituiscono le pulsazioni di ogni angolo di Puglia. Dagli Skaddia agli Skunchiuruti, sconclusionati, in italiano. Un’orchestra allargata che utilizza strumenti dimenticati per le canzoni popolari. L’unica logica degli “Sconclusionati” è la condiviosne del divertimento alla radice del suono. Cresciuti a Cataforìo, ripropongono la cultura coreutica-musicale del Reggino. Al riparo da qualsiasi modernità, le cadenze sono quelle della Sonata a ballu, lo schema danzante che richiede danzatori in rota che con passi puntati seguono i tempi impartiti dal mastru d’abballu. Non mancano gli oggetti inconsueti, gli antichi strumenti. Ben trenta artgiani -tra i quali Pasquale Lorenzo, costruttore di pipite e i “tamburellisti” Andrea Anghelone e Bruno Pitasi- compongono una singolare esposizione di surdululine, zampogna a chiave, lire calabresi, castagnette, in un gioco di specchi tra passato e presente qual è il “Tamburello”.
Pubblicato su Il Corriere della Calabria 18 luglio 2013