l’intervista
IL CANTO POPOLARE DI OTELLO PROFAZIO
ZAMBRONE Nell’ambito dei festeggiamenti in onore di santa Marina, patrona della frazione di San Giovanni, Otello Profazio si è esibito per la prima volta nella piazza del centro abitato. La carriera del noto cantastorie calabrese ha attraversato in lungo e in largo la storia e la cultura regionale. Oltre sessant’anni di attività al servizio della musica popolare. Otello Profazio, con la sua tagliente ironia non ha mai rinunciato a parlare dei disagi e dei drammi, individuali e collettivi, del Sud e della Calabria in particolare. Quando ha iniziato la sua carriera, in Italia si cantava “Grazie dei fior” di Nilla Pizzi; Profazio, invece, portava all’attenzione di un pubblico sempre più numeroso i morti di Melissa o quelli di Portella della Ginestra. Il cantastorie calabrese, poi, ha realizzato una ricerca che ha impedito all’oblio di cancellare testi importanti della tradizione popolare: “Stornelli d’amuri”, “All’armi all’armi”, “Gioiuzza cara”, “Vogghiu me moru”, “Matajola”, “Aquila bella”, tanto per citare i più conosciuti. Nella fase che ha preceduto il concerto, molti suoi estimatori hanno invaso la casa in cui era stato ospitato per la cena. Una conferma di affetto e di stima per il più autorevole esponente della tradizione musicale calabrese. Saverio Strati per delineare la figura di Otello Profazio, fece ricorso a un detto calabrese e disse: «pari fattu cù focu». A dispetto dei tanti lustri di attività, la definizione è sempre valida. Prima del concerto, non si è sottratto dal rispondere ad alcune domande.
Che cosa rende la tradizione autentica?
Riprendo una felice definizione di Fortunato Pasqualino, per il quale la genuinità è data dalla capacità di fare rivivere il passato.
Talvolta, nelle sue canzoni ha cambiato il testo popolare…
Sì, ma l’ho sempre detto e scritto. Sono un ricercatore onesto, una specie di restauratore della canzone popolare.
Una definizione contemporanea della musica etnica.
Questo genere di musica così legato all’attualità esiste perché è così definita dagli operatori del settore, dalla stampa, etc. In realtà si tratta di sperimentazione, portata avanti da giovani e meno giovani che ignorano, completamente, l’aspetto della ricerca.
È mai stato in qualche festival moderno di musica popolare?
Sì, mi ha colpito il footing praticato dai presenti che ignorano la “tecnica” dei balli popolari. Di tutto questo movimento intorno alla musica popolare rimarrà ben poco, perché, ribadisco, è carente sotto il profilo della cultura e della ricerca in particolare modo.
Si esibisce ancora all’estero?
Certo, quest’anno sono stato in Cina e in Australia, dove sono accolto dalle comunità calabresi con costante affetto. Credo di essere il calabrese più conosciuto al mondo.
Perché non porta mai nei suoi concerti “Aquila bella”?
Perché è legata sia a me che ad un'altra persona, Nicola Perronace di Guardavalle, che non c’è più. Tutta la famiglia Perronace occupa nel mio cuore un posto di primo piano. Raramente mi sono emozionato così tanto come nell’ascoltare i canti dei Perronace, persone pure e ricche di un’umanità infinita.
Per quale motivo non ama gli etnomusicologi?
Perché sono aridi; l’esatto contrario di ciò che esprime la musica popolare. Ho molti dubbi anche sui loro metodi di ricerca. Chiedere ad un anziano di registrare qualche vecchio stornello è di per sé fuorviante, perché proietta l’interlocutore in una dimensione che non è più la sua. Quando andavo a fare serate nelle piazze periferiche era la gente che si avvicinava a me e che mi suggeriva testi, storie, leggende, proverbi, filastrocche, serenate ed io appuntavo tutto. Poi ho iniziato a registrare. E così è nato il mio archivio.
Cos’è la musica popolare?
Ancora non l’ho capito. Sono perennemente impegnato nel suo studio…
Corrado L’Andolina
Pubblicata su Calabria Ora il 24 luglio 2012