PASSATE DALLA MEMORIA
Me li sento sulla pelle questi due ultimi millenni. E non mi si trova neppure una ruga. Per non parlare dell’altro mezzo millennio, prima ancora che il Redentore decidesse di calpestare il suolo della Palestina nel tentativo di persuadere l’umanità che c’era un’altra via da percorrere. Non c’era ancora Roma e già Pan con il suo flauto magico scorrazzava per la piana di Sibari seguito da entusiastiche fanciulle che cantavano e ballavano. Non era ancora arrivato Pitagora a Crotone per inventare la tabellina a dannazione dei posteri ragazzini delle elementari, ma già Ercole da tempo aveva percorso gli erbosi sentieri calabri di ritorno da una delle sue fatiche più impegnative laddove aveva posto le sue fatidiche colonne. E la lira calabrese, tra i primi cordofoni ad archi di cui si abbia memoria, faceva vibrare le sue note nell’aria tersa della piana di Locri e da lì nel resto della Calabria e in Sicilia mentre barbari di varia provenienza sconvolgevano il nord del Bel Paese in pieno medioevo. E mi fermo qua, sebbene potrei continuare per ore. Solo per il gusto di informare i male informati che storia abbia la Calabria. Ma questa è anche la regione dell’umiltà e l’umiltà, si sa, stenta a farsi strada nel regno della presunzione e del pregiudizio. Due millenni e oltre, comunque, di voci e suoni e canti che hanno accompagnato, interpretato, spiegato e raccontato eventi storici e drammi personali e familiari e che hanno coinvolto, nel bene e nel male, re e regine, principi e principesse, eroi e furfanti, briganti e galantuomini. Con la libertà dell’ignoranza, a volte, di cui si può rivendicare il diritto come quello all'istruzione,o, se si preferisce, con l’ingenuità del popolo che vede il bene e il male dove in effetti si trovano. E non lo nasconde. Se il re è nudo... è nudo. Per cui non sappiamo ancora se Garibaldi è stato un liberatore o un “incatenatore”. Ma di cui si sa che qualcosa la fece in un mondo in cui non si faceva (non si fa?) nulla. Tranne che parlare. Ed è notorio che i Calabresi parlano poco. Preferiscono di più ascoltare. Magari incoraggiati da quel proverbio lasciato qui dagli Arabi “Dio mi ha dato due orecchie per ascoltare molto e una sola bocca per parlare poco”. Ma nulla dice a proposito del canto e del suono. Vuol dire che non sono proibiti. E anzi spesso canti e suoni si innalzano in sua lode e a sua gloria o per celebrare i suoi santi, senza dimenticare l’esclamazione di San Giovanni Bosco “Dio ci guardi dai Santi!”. Ma è anche vero che lo disse quando non l’avevano ancora fatto santo. Non è mancanza di rispetto né crollo della fede. Proprio il contrario. Quando ci si mette la sottile ironia contadina che arruffa maliziosa il “tartufismo” e il beghinismo. San Pasquale di Bailonne... e tutti gli altri! Perché c’è anche questo e tanto altro nella storia e nella tradizione di queste contrade. Senza mai scadere nella blasfemia né nell’intellettualismo. Entrambi nemici storici dei Calabresi di ieri e di oggi. Elemento di coesione di questi duemilacinquecento anni ‘U sonu (che incarna la cultura coreutica e musicale calabrese) con le sue passate (volgarmente chiamate tarantelle) che già nella denominazione evocano l’alternarsi continuo (spaziale e temporale) delle persone alla rota (perimetro fisico nel quale suonatori e ballerini offrono la loro prestazione). Le passate, prive di ritornelli o frasi, sono dei moduli realizzati mediante gli strumenti musicali etnici, che combinano improvvisazione ed esperienza, interazione ed equilibrio con un continuo rinvio o ritorno alla memoria. Chiarimenti, approfondimenti e altre informazioni... al Tamburello festival 2012!
‘U Calabrisi