il corsivo
RITRATTO DI UN PERSONAGGIO
«Sono solo dall’altra parte»
L’ultima apparizione pubblica di Domenico Varrà avvenne in occasione della presentazione di un libro interamente dedicato ai caduti sul lavoro di Zambrone, dal titolo “Il canto del pettirosso”. Il testo annovera anche una sua testimonianza. Il padre, infatti, era deceduto sul lavoro nel lontano 1950. Il suo intervento fu appassionato e profondo. Nella circostanza si alternarono ricordi personali, esperienze dolorose delle fasi successive al tragico evento e riflessioni di portata più generale. Il taglio, a tratti duro, a tratti poetico impressionò gli astanti per la lucidità analitica e l’originalità della prospettiva. Filo conduttore di quel discorso, un inguaribile ottimismo che culminò con una metafora sul pettirosso come simbolo che porta speranza, rimasto inculcato nel cuore dei presenti. Nella sua elaborazione, il lavoro rimaneva un inderogabile strumento di emancipazione da porre sempre e comunque al centro del dibattito politico e della vita sociale. In conclusione, stimolò i soci del Centro studi umanistici e scientifici Aramoni (e, in generale, tutti i rappresentanti degli enti che operano sul territorio comunale) a guardare al passato e al futuro con curiosità, ad approfondire l’ambito della ricerca e a costruire ulteriori positivi momenti di incontro per la comunità. Questo modo di pensare non lo allontanò dai suoi molteplici interessi. In primis, il mare e la sua curatissima barca. Agli amici era solito ripetere di come i notturni incontri con i delfini gli trasmettessero un’impagabile sensazione di perfetta sintonia con la natura. E poi la caccia che, grazie alle sue battute, gli faceva sentire gli odori della campagna di Zambrone e dintorni; odori antichi che recano il profumo della semplicità e della vitalità. La politica e l’amministrazione locale hanno interessato buona parte della sua vita. Sullo sfondo, un mondo che vedeva la presenza di ideologie e partiti che non hanno retto l’urto di una modernità spietata e a tratti senz’anima. Infine, la sua famiglia. Il dolore per una moglie dalla quale un destino atroce lo ha separato troppo presto, l’amore incondizionato per i suoi tre figli e quello ancora più tenero verso i nipoti. Nel soggiorno di casa, la prima immagine che colpisce i visitatori è una fotografia che immortala un momento dell’infanzia dei suoi tre figli. L’assennatezza sorniona di Maria Concetta, l’energica vivacità di Vittoria e il sorriso gaio e meravigliato di Antonio, lasciano trasparire la presenza di due educatori di alto profilo. E allora ritornano in mente, le parole di Sant’Agostino che nella sua composizione “La morte non è niente” scrive: La morte non è niente./Sono solamente passato dall’altra parte:/è come fossi nascosto nella stanza accanto./Io sono sempre io e tu sei sempre tu./Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora./Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;/parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato./Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste./Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,/di quelle piccole cose che tanto ci piacevano/quando eravamo insieme./Prega, sorridi, pensami!/Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:/pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza./La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:/è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza./Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?/Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo./Rassicurati, va tutto bene./Ritroverai il mio cuore,/ne ritroverai la tenerezza purificata./Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:/il tuo sorriso è la mia pace.
c.l’a.
Pubblicato su Calabria Ora il 4 giugno 2012, p. 24