il corsivo
TERREMOTO IN EMILIA, UNA PROPOSTA PER RICAMBIARE LA “CORTESIA” DEL 905
Terremoto. Nel linguaggio comune è il termine usato per indicare una frattura con tutto ciò che è ordinario. Ma quando il terremoto, quello vero, si fa sentire, col suo rumore cupo proveniente da chissà quale anfratto della crosta terrestre (i giapponesi chiamano ciò “La Voce”) ci si rende conto di come della parola si faccia sovente un uso improprio, banale. Il patrimonio artistico e architettonico della provincia vibonese è davvero modesto se confrontato con quello di altre realtà d’Italia, interessate ai fenomeni sismici degli ultimi vent’anni. E ciò è dovuto proprio alla ricorrente violenza degli eventi tellurici imbattutisi in loco. Tanto per fare alcuni esempi, i terremoti del passato distrussero i conventi di San Francesco e San Giovanni a Motta Filocastro o il monastero di Sant’Opolo a San Calogero e una notevole quantità di chiese e palazzi antichi. Raramente gli edifici venivano ricostruiti utilizzando identici materiali e tecniche costruttive. L’addio definitivo a ipotesi di ricostruzioni degli edifici crollati, avvenne dopo il devastante terremoto dell’8 settembre 1905. La crisi del Sud, subì un serio processo di accelerazione irreversibile proprio in occasione di quell’evento sismico. Non solo per le conseguenze umane, gravissime, ma anche per quelle culturali. Esiste un’indubbia correlazione tra la crisi economica e quella culturale; una sorta di osmosi senza soluzione di continuità. Proprio per questa ragione nel recente sisma emiliano, sindaci, uomini di cultura e religiosi, insistono sulla necessità di ricostruire gli edifici storici distrutti o danneggiati dal terremoto. A tale proposito, vale la pena sottolineare che l’Emilia-Romagna, una delle regioni più belle, generose, ricche e ospitali d’Italia ha saputo (forse come nessun’altra) tutelare e valorizzare il suo immenso patrimonio artistico e architettonico che però ha subìto danni ingenti. Il pensiero, dunque, corre a Finale Emilia: Torre trecentesca dei Modenesi, Rocca Estense e Torre dell’Orologio, palazzo Veneziani, duomo; a San Felice sul Panaro: Rocca Estense e Torre dell’Orologio; Ferrara: castello, chiesa di Santa Maria in Vado, chiesa di San Paolo; Poggio Renatico: castello Lambertini, Mirandola: duomo; San Giovanni in Persiceto: chiesa dedicata a San Giovanni Battista con gli affreschi del Guercino. E il pensiero è rivolto alle tante chiese e palazzi antichi che non hanno retto l’urto del terremoto. Una popolazione operosa, gioiosa, laboriosa, qual è quella emiliana, merita risposte certe, sia da parte dello Stato che dal resto della nazione. Sarebbe un segnale importante, al di là della parate e delle contro parate sullo spirito unitario della Nazione, che anche i comuni del vibonese, la sua popolazione e le associazioni prendessero l’iniziativa (magari in forma consorziata) per apportare un contributo significativo in direzione di una rapida ricostruzione. Come? Con l’adozione di un monumento o di un edificio storico e il reperimento dei fondi necessari al suo ripristino. Al presidente della Provincia o al sindaco del comune capoluogo o a un soggetto da loro delegato, l’onere di avviare e coordinare un virtuoso e operoso percorso di solidarietà. In tal senso, inoltre, l’auspicio è che vengano individuate dal Governo procedure diverse rispetto a quelle fallimentari del recente passato che avviino progettualità snelle, al riparo da deleterie burocratizzazioni. Vale la pena ricordare che in occasione del terremoto del 1905, fra i tanti Comitati-Pro Calabria, quelli emiliani furono tra i più generosi. Un esempio emblematico, quello annotato dalla Gazzetta Ufficiale del 26 settembre 1905 numero 224: “Oggi è partito pure da Bologna per la Calabria un treno contenente speciale materiale per la costruzione delle baracche, indumenti, viveri ed oggetti domestici. Collo stesso treno partì una squadra di pompieri e di carpentieri”.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 2 giugno 2012, p. 35