IL PARTIGIANO “ROSINA” E UNA STORIA DI LIBERTÀ INIZIATA A ZACCANOPOLI
La vita di Mazzitelli, dal “regio esercito” alla Resistenza sulle montagne piementosi
Domenico Mazzitelli è nato a Zaccanopoli, l’8 aprile 1920. Fino a 19 anni ha vissuto nelle campagne posizionate alle pendici del Poro. Poi la Leva obbligatoria, precisamente, nel 17° reggimento dell’artiglieria di Novara, dove svolge l’ordinario addestramento. Il soldato partecipa alla spedizione militare sul fronte francese (10-25 giugno 1940), il primo organizzato dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini (10 giugno 1940). Partecipa in forza al “Battaglione monarchico divisione Sforzesca” sul territorio albanese, anche alla Campagna di Grecia che ebbe inizio nell’ottobre dello stesso anno, dove rimane fino a gennaio del 1941. Poi ritorna nella caserma di appartenenza. A quel punto, viene concessa al Mazzitelli una licenza e con l’occasione ritorna nel paese natio. «Senonché -spiega lo stesso- in una battuta di caccia subii una grave distorsione che m’impedì di rientrare in caserma. Quella fu la mia salvezza. Al rientro a Novara, infatti, i miei commilitoni erano tutti partiti per la Campagna di Russia; ne rientrarono in pochissimi. Io rimasi nell’area di Carpignano Sesia, al servizio dell’esercito, con funzioni di vigilanza e mantenimento dell’ordine pubblico. E ciò fino all’8 settembre 1943… Da quel momento l’esercito fu allo sbando, le diserzioni all’ordine del giorno. Ma io rimasi fedele all’esercito regio».
La scelta partigiana
Verso la fine del 1943 anche a Carpignano venne pubblicato un avviso di convocazione dei militari, a giorno e orario prestabiliti, presso le caserme di appartenenza. Finalità, l’internamento presso le fabbriche tedesche o peggio. «A quel punto -spiega lo stesso Mazzitelli- un colonnello di nome Arena che ci conosceva sin dalla Campagna di Grecia, ci suggerì di chiedere l’aggregazione alle “Brigate Nere”, unico modo per sottrarsi alla morte certa. Lui stesso firmò un permesso cumulativo, ma i tedeschi non ci fecero uscire dalla caserma e chiesero, a tal fine, autorizzazioni individuali. Per fortuna che il colonnello era ancora in caserma e ci rilasciò quanto chiesto dai tedeschi. A quel punto ci venne concessa qualche ora per preparare la biancheria. Fummo in cinque ad avere il permesso. Due decisero di rientrare in caserma e non li ho mai più rivisti. Io, insieme a due commilitoni, di nome Angeli Falsone e Cesare Ferilli, invece, mi arruolai nei partigiani. Uno dei due, infatti, aveva già da tempo solidi rapporti con loro. Il mio nome di battaglia fu “Rosina”, in omaggio a una ragazza molto bella che avevo conosciuto in loco. Dapprincipio fui arruolato nel comando che operava nella Valsesia “1^ divisione Pajetta”. Poi, dal 30 giugno 1944 fui aggregato al “Battaglione sabotatori”. Il reparto era guidato da un partigiano di eccezionale coraggio e intelligenza, si chiamava Carlo Riboldazzi ed eseguiva le direttive della famosa “Brigata Garibaldi divisione Valsesia” capeggiata dal leggendario Cino Moscatelli».
Operazioni partigiane
Domenico Mazzitelli mantiene una viva lucidità e ricorda nel dettaglio molte fasi dell’esperienza partigiana che espone con una signorilità calamitante. «Ho partecipato -chiosa- a circa cinquanta operazioni di sabotaggio. Ricordo che ci spostavamo tutte le notti, perché i soldati tedeschi ci davano la caccia. Fui ospitato da molte famiglie che mi accolsero, insieme ai miei compagni, con grande ospitalità. La nostra brigata ha segnato pagine memorabili nella lotta della Resistenza. Ricordo che feci saltare almeno in due occasioni i treni che dovevano portare le munizioni e altri armamenti militari ai tedeschi. In un’altra circostanza rimasi in un fortino per otto ore a guerreggiare con i nazifascisti e alle prime luci dell’alba, riuscii insieme ai miei compagni a riposizionarmi sulle limitrofe alture. Nelle azioni di sabotaggio ci spogliavamo sia della mostrina della divisione, sia del tesserino, per impedire il riconoscimento in caso di cattura da parte del nemico. Il 25 aprile partecipai al corteo organizzato per la Liberazione di Milano. Rimasi al servizio dei partigiani ancora poche settimane e poi decisi di rientrare a casa».
Il rientro a Zaccanopoli
«Avevo nostalgia dell’aria del Poro, dei colori delle sua campagna -continua a raccontare Mazzitelli- e volevo vivere la quotidianità con semplicità. Ho lavorato per molti anni alle dipendenze della “Sud mineraria” e nei miei amati terreni». Domenico Mazzitelli, infine, aggiunge: «Ho votato per la Repubblica. Non ho mai preso parte alla contesa politica. Io, però, ho lottato per una prospettiva d’avvenire libera e positiva. Dico pertanto ai giovani di non consegnare il loro futuro nelle mani di nessuno, di non cedere alla rassegnazione e di essere sempre onesti». Esiste un saggio interattivo dal titolo “Questa terra è la mia terra” di Enzo Maio, dove sono annotate pagine indelebili sulla storia degli avvenimenti sopra indicati. In due passaggi vi è anche riportato il contributo dato da Domenico Mazzitelli alla causa partigiana.
Il senso della storia
La storia del fascismo e dell’antifascismo è molto complessa. Gli intrecci tra le due sponde, i cambi di posizione da parte di tanti cittadini non sono da ricondurre solo ed esclusivamente ai mutamenti politici e militari nazionali e internazionali. C’è qualcosa in più… che affonda le sue radici nell’antropologia e nel costume politico nazionale caratterizzato da sconfinamenti ideologici, scontri violentissimi e improvvisi avvicinamenti culturali che trovano forma e sostanza dagli anni Venti fino alla Liberazione. Domenico Mazzitelli incarna queste vicende alla perfezione. Molteplici i dati che balzano all’attenzione. Innanzi tutto, la rinuncia a un percorso politico che gli avrebbe garantito posizioni di prestigio. Poi il senso della libertà, abbracciato con profonda convinzione. In terzo luogo, il ritorno al Sud, un gesto in perfetta linea con lo spirito frugale e l’amore per la propria terra, tipico (nelle passate generazioni) degli uomini calabresi. Infine, il monito ai giovani (orientato dal dovere di conquistarsi la libertà) diretto, efficace, adornato di un’umanità senza tempo.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 25 aprile 2012, p.31