IL CANTO DEL PETTIROSSO E QUEL SEGNALE DELL’ANIMA…
«Il canto del pettirosso è diverso da tutti gli altri. É un segnale per l’anima, un’armonia che raccoglie i suoni più misteriosi della Natura e li riverbera sul cuore umano con mille vibrazioni arcane. E ognuna di esse racconta qualcosa a ciascuno di noi. Perché tutti abbiamo qualcosa da ascoltare da noi stessi e quel canto è un medium tra noi e la nostra coscienza, tra noi e la profondità del nostro io. E tutti abbiamo un ricordo che ci riporta ai momenti straordinari della vita: il dolore, il patimento, il sorriso, la sconfitta, la vittoria e ciò che avremmo potuto evitare e non abbiamo evitato e ciò che avremmo potuto realizzare e non abbiamo realizzato ( ... )».
Virgolettato tratto dalla prefazione de Il canto del pettirosso -Morti bianche a Zambrone - Le testimonianze dei familiari, a cura di Corrado Antonio L’Andolina.
Innanzi tutto il titolo: “Il canto del pettirosso”. Subito sorge spontaneo un parallelo con il sacrificio volontario del dio cristiano sul patibolo della croce per la redenzione del genere umano. E poi, in secondo luogo, balza su, quasi in modo prepotentemente positivo, la bellissima metafora del pettirosso quale uccellino delicato e sensibile, simbolo di amore e affetti smisurati, che con un gesto di coraggio (secondo la leggenda, volò sul corpo del Cristo morente sulla croce per togliergli una spina dalla corona che portava sul capo e si macchiò il petto del Suo sangue, prima di riprendere il volo) porterà per sempre impresso, sulle piume del proprio petto, l’intenso colore rosso del sangue. Corrado Antonio L’Andolina non solo enumera, descrive, riporta le varie testimonianze di una tragedia grande e antica quanto la Civiltà (le morti improvvise e strazianti sul lavoro), ma sembra soprattutto “sentirle” col cuore, in una comunanza profonda con la gente e il territorio. Mi colpisce l’elaborazione del lutto e la forza contenuta ed essenziale del ricordo; il potere che si accorda alla memoria la quale conserva per sempre ogni piccolo gesto vissuto insieme, ogni sorriso scambiato anche solo per un momento, ogni gioia o dolore quotidiano divisi e condivisi nei giorni, nelle stagioni, negli anni. Vi è ancora in me (e forse vi resterà finché vivrò) il ricordo vivo di mia madre che si vestì di nero per la morte di mio padre e rimase così vestita fino al termine dei suoi giorni, perché per le donne della nostra terra il dolore, causato dalla perdita delle persone care, si esprime con lo strazio del cuore e la mortificazione dell'aspetto esteriore. Quante morti dolorose spesso nel fiore degli anni: un libro - testimonianza composto da tanti microcosmi di sventura, in una terra meravigliosa eppure con una storia costellata, nel suo corso, da sventure sociali, umane, collettive e di famiglia. La speranza, però, non cede mai il posto allo sconforto; allora tra i vivi dolenti e i morti che hanno trovato la pace si stabilisce come un legame segreto, sorta di vincolo invisibile che unisce le due dimensioni: quella terrena e quella dell''Aldilà. La generosità, la compassione, la solidarietà reciproca, tutti fattori endemici della gente di Calabria, costituiscono una barriera solida contro il torrente straripante della perdita affettiva improvvisa, causa di trauma e di paralisi psicologica. Si è sempre sostenuto che il lavoro nobilita l’uomo e che guadagnarsi il pane quotidiano, per sé e per i propri cari, con il sudore della fronte è quasi un dono di natura divina per l’uomo di buona volontà; morire in modo violento sul lavoro diventa così un eroico misurarsi con la vita, ma specialmente con la morte, che non rimarrà mai vano. Alcune poesie, sparse qua e là per tutto il libro, scritte da amici o da parenti delle vittime di “morte bianca” ci rammentano, ancora una volta, che il Canto lenisce le ferite del cuore e trasfonde di luce aurorale il dolore dell’anima, consegnando all' Eternità il breve ansito di esistenza di ciascuno di noi.
Francesca Rita Rombolà