in libreria
IL CANTO DEL PETTIROSSO, TRA RIFLESSIONI E RICORDI
“Il canto del pettirosso” è il titolo dato all’ultima sua ricerca da Corrado L’Andolina. Il testo è una narrazione a più voci sulle “morti bianche zambronesi”, le vittime del lavoro così come sono ricordate dai loro familiari. Attraverso sedici storie si ricostruisce un quadro a più livelli di generazioni intere di uomini e donne la cui complessità e il cui valore non si esaurisce nella tragica esperienza lavorativa, ma certo dà alla riflessione sul valore del lavoro in questo nuovo secolo un originale significato e una rielaborata profondità. Le fotografie, insieme ai racconti delle vicende familiari, in particolare, restituiscono i simboli di un’epoca intera: il linguaggio del corpo degli uomini e delle donne ritratti racconta di un’epoca in cui l’immagine e l’identità erano costruiti intorno al lavoro, ai valori, all’esperienza formativa. I legami familiari e il carattere raccontati dallo sguardo, dall’espressione del viso, rendono le storie ancora più commoventi, perché umanamente più vicine e la fissità degli sguardi rimanda ad un’interruzione ancora più tragica perché apparentemente inspiegabile. La narrazione che i parenti delle vittime sul lavoro affidano a L’Andolina appare al lettore anche più straziante nel suo essere racconto intimo di sentimenti “incomunicabili”. Dietro la maschera della quotidianità e della ricostruzione degli equilibri restano, infatti, un vuoto e una necessità di raccontare per sottrarsi alla naturale dimenticanza e per dare, narrando, un senso e una risposta alla domanda fatidica: “perché?”. In effetti tutta l’opera è un costante richiamo a questa domanda a cui le storie stesse cercano di dare parziali risposte: la miseria, il bisogno e la promessa di un avvenire migliore, il desiderio di rendersi responsabili del benessere dei cari, che sono però solo frammenti di quel percorso che ha portato a queste tragiche morti. E più si cerca di sondarne le ragioni, più appare disturbante il pensiero che queste morti siano avvenute nel momento del lavoro, quel lavoro che è costruzione e creazione di benessere, di sostentamento, simbolo di vita. Questa apparente contraddizione è ancora più evidente nelle morti avvenute nei campi: la terra che dà il nutrimento, l’identità, i mezzi per vivere, la terra che è vita diventa come un oceano oscuro che inghiotte tutto. La metafora del pettirosso è particolarmente azzeccata. Non solo il suo canto, come scrive l’autore, è un richiamo per la memoria, ma l’immagine di questa creatura dal petto vermiglio è simbolo di altruismo e generosità, della vita che germoglia come della morte pietosa. Una ballata inglese del sedicesimo secolo, “The Babes in the Wood”, racconta che quando due bambini abbandonati morirono nel bosco fu il pettirosso a seppellirli coprendo pietosamente i loro corpi con le foglie. Il pettirosso ha ravvivato il fuoco presso il quale si è scaldato Cristo infante e ha beccato le spine del suo martirio perché non gli affliggessero le carni. Il pettirosso annuncia la primavera e nel contempo rappresenta la purezza dell’inverno. Forse i morti sul lavoro sono come i pettirossi: nell’atto della creazione, attraverso il lavoro che nobilita e nutre, essi danno inizio alla vita e nella morte vegliano i cari straziati dalla perdita, diventano miti attraverso i quali ricostruire un futuro segnato dall’assenza in cui raccontarsi e raccontare, nel 2012, un significato del lavoro perduto, come inno alla vita, anche quando la vita consuma.
Eleonora Lorenzo
Pubblicato su Calabria Ora il 10 aprile 2012, p. 26