LA RIVOLTA DEI CASALI CONTRO TROPEA
«E pure strana cosa ad udire, da miserie non mai sorse accadute i poveri casali di Tropea oppressi vediamo» recita un documento del Tribunale della Regia Camera di Napoli, redatto nel 1724 da Tommaso de Sarno e Gennaro Carissimi, per dimostrare «quanto giustificata sii la domanda de’ Casali di Tropea, d’essere deivisi dalla Città». Sono pagine della nostra storia spesso trascurate. I Casali diventeranno autonomi, definitivamente, solo nel 1811, ma fino a quel momento qual era la situazione dei Casali di Tropea? Quali sono i fatti che hanno portato alla separazione definitiva? Pochi sanno, o desiderano sapere, che, prima della Rivoluzione Francese del Settecento e dei moti rivoluzionari dell’Ottocento, in Calabria si consumavano rivolte e tentativi di ribellione anche di una certa rilevanza, rivolte proprio all’autorità di Tropea. Queste rivolte sono state conseguenza di una situazione di sudditanza per molti insostenibile e di un contesto sociale molto particolare. Nel XVIII secolo, finita la guerra di secessione spagnola, la Calabria passò all’autorità della corona degli Asburgo d’Austria e la distribuzione e la natura dei piccoli centri non dovevano essere molto diverse da quelle di oggi: spesso isolati e scarsamente abitati, arroccati sulle montagne per sfuggire alle epidemie e alle scorrerie piratesche che infestavano la costa. Tutti i piccoli Casali, da Capo Vaticano a Zambrone, erano «del nostro Clementissimo, ed invitto Monarca fedeli vassalli» e «son divenuti schiavi de’Sindici pro tempore della Città di Tropea, alla grande avidità de’quali, non solo le proprie sostanze, gli proprj sudari, ma la stessa vita han bisognato infelicemente sacrificare». Nei Casali c’erano molti lavoratori a giornata, contadini, ma anche intellettuali e ufficiali che versavano i contributi a Tropea, anche ingenti che costringevano da molti anni i «miserabili casali a vivere con qualche angustia». La Città di Tropea aveva nei confronti dei Casali un atteggiamento ambiguo. Essi potevano acquistare solo beni tassati dalla Città e vendere ad essa i propri beni. C'era quindi una condizione di sudditanza. Eppure, come sottolineano i cronisti, di tanto in tanto emergeva nei confronti dei Casali un sentimento di appartenenza, di comunione: più spesso, però, quando bisognava pagare dei tributi che erano a carico della Città e che, in quanto parte di un tutto, la Città si sentiva in diritto di far gravare, nonostante le disposizioni Regie, sui Casali. La politica tributaria era tutta a svantaggio dei Casali, portata avanti com'era dai sindaci, ma anche dai nobili della città, interessanti molto meno «al pubblico bene» che «al privato, e proprio interesse». Il controllo assoluto dei Casali garantiva stabilità economica e accesso senza vincoli alle risorse. I cronisti dell'epoca, de Sarno e Carissimi, sottolineano la sensazione di oppressione e impotenza dei braccianti e dei contadini dei Casali, acuita dalla fame e dalla miseria nella quale versavano e dal fatto che essi non vedevano nelle imposte che subivano giusti tributi per il sovrano, al quale erano fedeli, ma tentativi da parte dei signorotti di sfruttare a loro piacimento le risorse che da essi provenivano e accrescere in tal modo il loro potere. Questo sentimento di astio verso i nobili e i sindaci di Tropea aveva infiammato gli animi dei Casali fino a portarli a varie forme di ribellione. La prima fu datata 1647-1648; ebbe origine a Parghelia e si propagò negli altri casali sotto la guida del pescatore Leonardo Drago. La seconda avvenne nel 1712 e molte furono le vittime che, oltre ad aver sacrificato per anni i propri beni, si videro costretti a sacrificare ciò che loro restava alla causa, la vita stessa. Due volte in loro favore intervenne la Regia Camera per imporre una politica tributaria più equa e introdurre forme di rappresentanza dei Casali, i quali, attraverso propri deputati, avrebbero dovuto poter esprimersi ogni qualvolta fosse stata introdotta una nuova tassa. Per ben due volte, però, queste disposizioni furono aggirate a favore della Città e la condizione dei Casali andò progressivamente peggiorando, mentre l’odio per le ingiustizie passate e il sangue versato covava nei loro petti, esacerbato dalle nuove ingiustizie subite. L’odio, il rancore, la fame, il desiderio di rivalsa portarono dunque alla rivolta del 1722, della quale fa menzione il documento citato. A guidare la rivolta fu Orazio Falduti, originario di Spilinga e impiegato del Tribunale provinciale. L’occasione fu data dall’imposizione arbitraria di una tassa di 300 mila ducati imposta anche ai lavoratori alla giornata nonostante il divieto legislativo. Anche questa rivolta si concluse con la morte dei rivoltosi e, tuttavia tale fu l’eco degli eventi e tale la risonanza che ebbe nella regione che i nostri cronisti, de Sarno e Carissimi, hanno riportato fino a noi le impressioni e gli antefatti di questi terribili eccidi per invocare l’indipendenza dei Casali, anche perché gli stessi «tiranni» della Città avevano ormai covato odio nei confronti dei ribelli, un odio che avrebbe potuto trasformarsi in una schiavitù aspra e sanguinosa. L’indipendenza, dicono, avrebbe portato ciascuno a provvedere per sé economicamente e politicamente. Non vi sarebbe stato svantaggio per la Città, ma soprattutto vi sarebbe stata possibilità di giustizia e rivalsa per i Casali, sottratti alla miseria e alla dipendenza di Tropea. L’indipendenza dei nostri odierni comuni è stata dunque una conquista pagata con il sangue per un’esistenza migliore e una politica più giusta. Conoscere questi eventi forse sembrerà superfluo per alcuni, ma senza dover guardare fuori dai nostri confini, possiamo forse trovare nella nostra stessa storia, motivi ed esempi di lotta per la libertà e il rispetto per i quali è sempre giusto sacrificare, se non la vita, almeno il tempo che occorre per saperne di più.
Eleonora Lorenzo
Pubblicato su Cronache Aramonesi, p. 5, novembre 2011, anno VII, n. 2