l’eco del populista
POLITICI COME IL RICCIO. NON C’È ALTRO DA DIRE
Forse dico un’ovvietà. In campagna elettorale i candidati manifestano disponibilità, gentilezza, fair play, spirito di sacrificio, pazienza. Qualche volta persino competenza. Più raramente originalità. Quasi mai intelligente lungimiranza. Provate a telefonare, dopo le elezioni, ad un consigliere regionale o assessore provinciale. Qualcuno risponde. Magari seccato ma risponde. Generalmente non lo fanno. Lasciano squillare i cellulari, quando non li posizionano sul silenzioso, specie se il numero chiamante è sconosciuto e lascia ipotizzare il solito seccatore, totalmente indifferenti e lungi dal pensare che se qualcuno chiama può farlo per motivi seri, magari nel loro stesso interesse. No. Il pensiero degli eletti del popolo è così preso dall’interesse per la cosa pubblica che il resto del mondo si ammanta in una nebbiosità in cui bisogni umani, presenze, istanze sociali, sentimenti diventano sfumature insignificanti. Del resto si sa la nebbia attutisce i rumori. Peccato che abbia anche il vizio di non far vedere oltre il proprio naso. Con produzione di gustosi paradossi. Che spesso richiamano l’esatto opposto dei melliflui slogan che si leggono sotto le facce sui manifesti hollywoodiani delle campagne elettorali. Tipo “da sempre al servizio del popolo” oppure “per una politica della gente e per la gente” con qualche variante dove gente è sostituita dalle parole popolo, Calabria o da un ammiccante sorriso che guarda alla cartina geografica della provincia di Vibo Valentia. E l’esatto opposto è il piccolo calcolo personale, la ricerca dell’alleanza di comodo, transitoria e mai le alte ragioni politiche, che guardino ai bisogni e all’interesse della polis, la città, la cittadinanza, la società civile, che poi siamo noi, tutti noi che li eleggiamo e li paghiamo. Oddio! Non vorrei beccarmi l’epiteto di qualunquista. Oggi modernizzato in “populista”. Di destra o di sinistra a seconda da dove proviene il simpatico attributo. È tutto quello che riescono a dire, il più delle volte. Per il resto si comportano come il riccio. Del quale, monsignor Pontoppidano racconta che lui rotolandosi scaccia via dalla tana il tasso di cui è ospite e che all’infuori di ciò sulla giornata del riccio non c’è proprio nient’altro da dire.
Esselle
Pubblicato su Calabria Ora il 16 aprile 2011, p. 32