Il commento
MA VIBO E’ PRONTA A SCOPRIRSI UNITA?
Il Risorgimento rimane un mistero! Manzoni e Leopardi, Foscolo e Gioberti, Cuoco e Pisacane, Tommaseo e Cattaneo. Raramente nella storia patria si sono registrate così significative contraddizioni. Francesco De Sanctis vista la profondità delle incongruenze, mise la letteratura al centro del processo d’unità nazionale. E’ trascorso un secolo e mezzo dall’Unità e la prima domanda che ci si pone è la seguente: cosa rimane di quel periodo nella coscienza collettiva, nella politica e nella cultura del Belpaese? E cosa rimane di ciò, nella sua provincia? La letteratura del Novecento è passata dalla sua fase di cosiddetta decadenza a quella neorealista, fino a imboccare la via dell’ermetismo prima e dell’intimismo poi. Risultato: la sua incomunicabilità con la periferia e, pertanto, l’inefficacia ad essere collante nazionale. La politica ha conosciuto una lunga stagione di scontri e ideologie, di successi e insuccessi. La fine dei partiti, però, ha allontanato la gente dalla partecipazione alla vita pubblica. Alle sezioni di partito, un tempo presenti anche nel paesino più piccolo del Vibonese, è subentrato il nulla. Riflettere sui centocinquanta anni dell’unità d’Italia, significa accendere i riflettori anche su questi aspetti. E invece, discorsi e iniziative celebrative rischiano di fuorviare da quelli che sono gli aspetti cruciali della storia unitaria. L’occasione sarebbe propizia, invece, per fare luce sui crimini compiuti contro civili inermi dalle forze (non sempre adamantine…) che sostennero il processo di unificazione. Senza che ciò implichi aprioristiche esaltazioni del preesistente regime borbonico. Il percorso che porta all’Unità è segnato da due componenti antitetiche: eroismi e generosità da una parte, violenza e sopraffazione dall’altra. La storia, però, è scritta dai vincitori (sempre) che esaltano la prima e sottacciono sulla seconda. Sgomberare il campo da equivoci e colmare le lacune sui dati reali è il presupposto per scoprire la verità che è il punto di partenza di ogni analisi e approfondimento storico. Il Vibonese contribuirà alla celebrazione del 150esimo anniversario in discussione, con un insieme di iniziative. In tal senso, il primo quesito da cui occorre partire è il seguente: cosa è cambiato in questo secolo e mezzo nella realtà locale? Non è tanto interessante capirne l’evoluzione (se c’è stata) socioeconomica. Quanto, piuttosto, comprendere quale sia il sentimento di nazione sviluppatosi. E allora sorgono spontanei altri interrogativi: quale, il legame tra le istituzioni e la gente all’epoca dell’Unità? E quale, l’attuale? Come si vive il rapporto con la propria identità? E a proposito di quest’ultima: a Vibo come in ogni altra realtà provinciale, prevale quella locale o nazionale? C’è un comune denominatore tra le giovani generazioni e quelle precedenti che possa ricondursi a un’italianità intesa in senso nobile ed alto? Buona parte della popolazione indigena il 17 marzo 1861 non comprese fino in fondo la portata storica dell’evento. E oggi, con quali occhi e con quali reali movimenti del cuore se ne festeggia la ricorrenza? Come immaginano i vibonesi la nazione nel terzo millennio? Provincialismo e campanilismo, sono solo pallidi ricordi del passato? Superato l’importante appuntamento, quale percorso s’intende intraprendere in direzione di quel pluralismo valoriale che è all’origine dell’Unità? Il cattolicesimo, un tempo additato a baluardo della conservazione dello status quo, non è oggi per i vibonesi il collegamento più solido con la cultura nazionale? E soprattutto, in epoca di federalismo, la comunità locale è pronta a rinnovare speranze di riscatto e di emancipazione nel tricolore? Giuliano Amato ha dichiarato: «La tradizione è una cosa che viene in parte recuperata e in parte inventata in quel momento della Storia in cui si vuole costruire un’identità. Però questa identità acquisisce un significato positivo solo se si connette al futuro». Come dire? Non c’è passato… senza futuro!
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 17 marzo 2011, p. 33