Il personaggio
DOCENTI D’ALTRI TEMPI
L’ESEMPIO DI MARISA
«La mamma». Centinaia di studenti che hanno avuto il privilegio di essere suoi alunni, la chiamavano così. Una definizione che di per sé non richiede particolari spiegazioni. Se non fosse che si è trattato di una super-mamma e di una super-insegnante. La professoressa Marisa Albino (al secolo Maria Rosa, scomparsa prematuramente l’1 agosto 2002) si era laureata all’università di Messina in Lettere classiche. Dopo un rapido soggiorno isolano, ritornò nella sua amata Vibo Valentia per insegnare alla scuola media “Giuseppe Garibaldi”. Al Liceo scientifico del capoluogo di provincia si trasferì sin dai primi anni Settanta, dove vi rimase per tutta la sua carriera. Quarant’anni di onorato servizio, spesi ad insegnare, nelle classi terza, quarta e quinta, Latino e Italiano. Il corso era l’E che comprendeva, prevalentemente, i ragazzi provenienti dalle scuole medie delle realtà periferiche, dove s’insegnava solo la lingua Francese. L’attività didattica del corso E fu svolta, negli anni Ottanta, insieme ad insegnanti di alto profilo culturale e professionale, quali Giuseppe De Nardo (Storia e Filosofia) e Giuseppe D’Amico (Matematica e Fisica). Gli alunni, all’epoca, sprigionavano intensi bagliori di un’umanità ricca e profonda, espressioni di una civiltà antica giunta al suo crepuscolo. Con la “mamma” non vi fu mai uno screzio, mai una lite, mai un’incomprensione, mai una nota sul registro. Durante le sue ore, calava nella classe un silenzio quasi irreale. Lezioni affascinanti, capaci di fare cavalcare la fantasia di tanti sedicenni oltre i confini delle anguste mura scolastiche. Esse erano lo strumento con cui penetrare nel regno della Letteratura italiana e latina, una sterminata prateria di sapere dove nutrire lo spirito, la mente e il cuore. L’atteggiamento degli alunni era segnato da un costante impegno. Nessuno, infatti, voleva deludere la “mamma”. Fu questa la molla che indusse, per decenni, gli studenti ad essere sempre (o quasi) preparati nelle sue discipline? Anche, ma non solo. Le sue doti professionali furono nettamente superiori alla norma. Una circostanza, ad esempio, che strabiliava gli allievi era la sua capacità di tradurre, con solerzia, dal Latino all’Italiano senza l’ausilio del vocabolario. Amava i classici e trasmetteva questo suo amore agli allievi. Ugo Foscolo rappresentò l’acme della sua incontenibile passione letteraria. Il sorriso gioviale e totalizzante, la raffinata ironia, il “senso della scuola” erano alcuni dei tratti essenziali del suo carattere. Un’insegnante pronta all’ascolto, comprensiva, capace di formare scolasticamente i suoi allievi ma anche di prepararli alle insidie della quotidianità. Le sue assenze erano rarissime. Ogni tanto dedicava gli ultimi minuti della sua lezione alla discussione. Dopo avere letto una poesia chiedeva, immediatamente, agli alunni, l’impressione che avesse destato la lettura o la sua spiegazione. L’obiettivo di incuriosire e indurre all’approfondimento era così quasi sempre raggiunto. La contemporaneità con le sue complesse problematiche era frequentemente presente nelle tracce date per gli elaborati scritti da sviluppare in classe. Ed è proprio da esse che si poteva scorgere qualche aspetto del suo carattere, sempre riservato e moderato. La visione della vita, esternata lontano dalla cattedra ai suoi “figli” era segnata da una logica ferrea, da un rigore morale assoluto e da un’etica che non concedeva alcuno sconto; il ritratto perfetto di una borghese illuminata. Coglieva sempre nel segno allorquando si cimentava nella spiegazione dei versi di Publio Virgilio Marone: «Omnia vincit amor et nos cedamus amori». E ciò per la vis attrattiva di un brano tratto dalle “Bucoliche”, romantico ed attuale; ma anche per l’austera e calamitante capacità espositiva di una meravigliosa… «Mamma».
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 14 settembre 2009, p. 22