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BELLEZZA E MELODIA NELL’OPERA DI SORACE
PIZZO La musica per i Calabresi ha un significato particolare, unico. Non è un sollazzo dell’animo, meno che mai un colto passatempo o un abbellimento interiore riservato a un’élite di privilegiati. Essa costituisce una vera e propria categoria dello spirito che si cala nella vita con una forza che è trascendente e secolare allo stesso tempo. Questa, è anche la prima tangibile sensazione che si ricava dall’ultima opera dello scrittore residente a Pizzo Domenico Sorace “La musica degli invisibili”. L’autore interseca musica e letteratura con peculiare accortezza ed equilibrio. L’una, si completa con l’altra in un binomio che risulta inscindibile. La musica non è soltanto l’ingranaggio della trama del romanzo o le note immortalate in un cd, ma rappresenta il grimaldello che spalanca le porte a un mondo completamente diverso da quello conosciuto, dove l’armonia tenta d’imporsi con tutto il suo vigore. A tratti, la musicalità s’impadronisce della scrittura per condurla verso soluzioni narrative che rivelano un orizzonte culturale nitido e disegnato con tinte forti. Toni e melodie fanno da sottofondo sia ai momenti di puro lirismo che a quelli di ragionata riflessione, allorquando la narrazione offre spunti di acuta meditazione sulla condizione passata e presente della Calabria e dei suoi abitanti. Questo è un altro passaggio cruciale del testo. C’è una tensione tra l’essere e il dovere essere che ha proprio nella terra natia il suo fulcro. Tale dialettica anima pensieri intensi e sentimenti struggenti, ma il risultato è costituito dalla precarietà di un equilibrio socioculturale simbolo stesso della Calabria. La cornice di questo complesso mosaico è data dalla bellezza. Lo scrittore prende le mosse da un’idea dostoevskjiana, secondo cui: «La bellezza salverà il mondo» per poi sviluppare una trama ben più complessa di quella del romanzo; la trama della vita. E in questo passaggio, la vis poetica di Sorace ammalia e incanta il lettore, proiettandolo in una dimensione meta temporale. La bellezza, per lo scrittore vibonese, non è solo un dato estetico, né componente teleologica, ma è elemento ontologico della vita stessa. E’ proprio tale passaggio ad offrire al lettore la chiave di volta dell’intera impalcatura romanzesca. Alcuni temi, apparentemente solo sfiorati, definiscono il quadro di un’opera che, per dirla con le parole dell’autore, mette «la fantasia al servizio della realtà». Un esempio è dato dall’idea, dissimulata con sapiente acume narrativo, di una società multiculturale che sembrerebbe avviarsi a diventare il modello sociale occidentale. Tale visione che alla luce delle attuali dinamiche politiche europee risulta complessa e tutt’altro che pacifica, non è però scandagliata a trecentosessanta gradi. E se il mito multiculturale non fosse altro, per l’Occidente, che un letale cavallo di Troia? L’opzione, inoltre, è rivelatrice di un substrato politically correct e stride con il pensiero di un romanziere mai banale che ha l’ambizione di concedere poco o niente al dejà vu. Non sfugge alla dittatura della contemporaneità, nemmeno un’altra direttrice che anima la trama: la ricerca del successo. Non si tratta, sia ben chiaro, del successo fondato sul trash, destinato a generare la cultura dell’effimero. L’autore, infatti, lo immagina come uno strumento di riscatto e, forse, ancor più, come un elemento di giustizia sociale. Idea coerente con lo spirito e la sensibilità umana del romanziere. Nel finale, sorprende la semplicità, condita da ingredienti retorici, con cui si consegue un equilibrio sociale e interiore, tra il caos e l’ordine, tra il rumore e la melodia.
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 3 novembre 2010, p. 36