SU LE ZAMPOGNE!
La prima volta che vidi una zampogna avevo cinque anni. Fu alla festa di San Carlo Borromeo, in un’epoca in cui le costumanze e la tipologia dei festeggiamenti era completamente diversa da oggi. Confesso che quella pelle di capra, che mi appariva enorme e misteriosa, mi fece quasi paura. Mi sembrava innaturale e quasi blasfemo che dalla pelle di un animale morto potessero uscire dei suoni gradevoli. Mi impressionò il modo in cui il suonatore la teneva. Sembrava abbracciasse un essere vivente ed immaginavo che ne avesse il peso e che il suonatore dovesse avere una forza tremenda per trascinarla in giro per tutto il paese. Ma quando si diffuse il suono restai sorpreso. L’armonia partiva lenta, quasi stentata e, dopo un po’, cominciava a crescere diffondendosi alta per vichi e stradine. Guardavo incantato le gote dello zampognaro che si gonfiavano buffamente e gli occhi che strabuzzavano come di chi stia per esplodere in una grande risata. Ma l’orecchio ne era conquistato. Sembrava che mille strumenti innalzassero al cielo una preghiera accompagnata da un pianto mistico mescolato ad armonie che non si capiva se andassero verso il cielo o ne discendessero, secondo i movimenti del suonatore e le sue intenzioni di stupire la fila di bambini che lo seguiva saltellando. Erano bravi gli zampognari nel loro mestiere. Non conoscevano la musica ma erano bravi. Non si preoccupavano molto del pubblico. Ma erano bravi. Sapevano di esprimere un valore musicale che non si proponeva di stupire ma stupiva ed incantava perché faceva venire in mente mille immagini: la grotta di Betlemme, il Bambinello, la gioia del Natale e della festa, la certezza di un regalo (una bustina trasparente di caramelle, un torroncino alla nocciola duro e saporito e, i più fortunati, un cavalluccio da trainare con lo spago), il santo Patrono che usciva dalla chiesa portato a spalla da baldi giovanotti mentre l’immancabile “’Ndria” di Potenzoni (il migliore tamburino che mi sia capitato di ascoltare) lanciava le note del «Pronti! Via» e anche lo zampognaro cominciava a gonfiare le gote mentre il suo strumento lasciava nell’aria il primo sospiro…
Quanto è antica la zampogna nella cultura musicale, artistica e sociale regionale! E quanto le devono i Calabresi per essere essa espressione di una civiltà e di una società mite e onesta, semplice e dotata di tutto quanto era necessario per connotarla come originale e seria. Essa sapeva riconoscere e distinguere il senso religioso del popolo e la volontà di partecipare ad un evento che coinvolgeva collettivamente e rompeva la ritualità quotidiana. La zampogna faceva pensare alla religiosità della festa ed all’esigenza del divertimento, era un po’ il simbolo dello spasso, ossia del divertimento come passeggiata della mente, come distrazione dalla brutalità del lavoro e dagli obblighi da adempiere. Almeno per un giorno. O per un’ora. Sono alcuni dei motivi per cui l’edizione 2010 del Tamburello festival, si ritrova in questo Su le zampogne! Del resto, la Calabria vanta ben quattro tipi di tale storico strumento, che è diffuso uniformemente su tutto il territorio, dal Pollino all’Aspromonte, passando per le Serre e l’altopiano del Poro. Un doveroso omaggio a questo straordinario strumento popolare, lo dedica il consolidato appuntamento organizzato dall’associazione Aramoni. La zampogna, però, soprattutto, è allegria e gioia di vivere, insomma festa nel senso più alto, come dev’essere per uno strumento che ha mille voci e si adatta a tutti ritmi. Dipende dall’abilità dei suonatori, certo. Ma nella settima edizione del Tamburello festival sono stati scelti i migliori, quelli che faranno divertire, ballare e risentire, per una sera, il sapore della Calabria migliore. Non ci credete? Venite a vedere…
Salvatore L’Andolina
Presidente onorario Centro studi umanistici e scientifici Aramoni