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Sintesi dell'itinerario turistico e culturale nella Calabria bizantina. |
Il periodo della dominazione
bizantina in Calabria copre l'arco di oltre cinque secoli: dall'inizio della
guerra gotica, intrapresa dall'imperatore Giustiniano per riconquistare l'Italia
occupata dagli Ostrogoti, fino alla conquista normanna, avvenuta nella metà
dell'XI secolo. La presenza dei bizantini nell'antica provincia dei Bruzi,
durata così a lungo, incise, quindi, profondamente sulla sua struttura
territoriale e culturale.
La povertà delle fonti narrative e di quelle archivistiche, dovuta
in prevalenza al disinteresse delle generazioni po-stbizantine per i documenti
redatti in lingua greca, ha costituito un grave ostacolo al fine di una compiuta
conoscenza di questa importante fase della storia calabrese. Esistono, tuttavia,
numerosi scritti agiografici, testimonianze della vita ascetica di monaci
taumaturghi, che rappresentano una ricca fonte cui attingere per un'intima
comprensione dei valori della civiltà bizantina.
Le opere architettoniche realizzate in quest'epoca rimangono, però,
l 'espressione più immediata di tale civiltà, resistendo sorprendentemente
all'erosione dei tempi e alla noncuranza degli uomini.
Ovunque in Calabria affiorano dalla mistica quiete che da secoli li avvolge,
tempietti, monasteri, chiese, torri d'età bizantina.
I luoghi in cui sorgono i templi e i monasteri, sono fasciati quasi sempre
da una natura di imponente bellezza e ne costituiscono, perciò, l'incantevole
sfondo. Il visitatore avrà spesso l'impressione che essi stessi siano
parte integrante delle realizzazioni artistiche degli uomini. Formidabili
esempi di questa perfetta fusione tra arte umana e "arte naturale"
sono rappresentati dalla Cattolica e dal tempietto bizantino della città
di Stilo.
La prima, si erge, nella gloria trionfale delle sue morbide forme, su un gradone
del monte Consolino, circondata da rocce dalle molteplici e spettacolari forme
e da una fitta e colorata vegetazione.
Il tempietto, collocato in una zona periferica, a sud di Stilo, è nascosto
in un anfratto, tra gli alti arbusti di una natura selvaggia, indomita. Piccolo,
prezioso gioiello della civiltà bizantina, svela la sua discreta, delicata
bellezza al viaggiatore curioso che, scorta dall'alto la sua cupola, senza
lasciarsi intimorire dalla tortuosità del percorso da compiere, lo
raggiunge.
La scelta di tali luoghi, così remoti, nascosti, per la costruzione
di templi e monasteri, non era casuale. Essa rispondeva ad un ideale di vita
ascetica, tesa alla conquista della perfezione religiosa, della purezza dello
spirito, che si identificava nella mistica volontà di rimanere estraneo
al mondo, per cogliere una felicità più alta, più autentica
di quella terrena.
. Colui che fondava un monastero spesso era un monaco, la cui vocazione religiosa
si rivelava abitualmente in tenera età e che, dopo aver preso l'abito
monastico, andava da solo, o con qualche discepolo alla ricerca di una nuova
dimora. Alcuni fondatori erano laici, animati però dallo stesso, intimo
desiderio di spiritualità.
L'asceta ideale, nel mondo bizantino, doveva nutrirsi appena quanto bastava
per sopravvivere, spesso indossava un unico vestito di pelle di capra e non
possedeva alcun bene superfluo, poiché questo costituiva peccato. Tale
autonomia, da intendersi in senso economico ma anche istituzionale ( mal tollerate
erano, infatti, anche le ingerenze delle autorità religiose.), rappresentava
uno dei principi su cui si fondava la vita dell'asceta, monaco o laico che
fosse. La fuga dal mondo aveva una sola finalità: realizzare la propria
santità. Il successo terreno di qualsiasi istituzione, anche di tipo
religioso, era totalmente offuscato dall'assoluta priorità della vita
spirituale.
L'ascetismo è sicuramente da considerarsi uno degli aspetti dominanti
della cultura bizantina. Quando si entra in uno di quei monasteri, si può
ancora sentire l'eco lontano, ma non indebolito dall'inesorabile trascorrere
del tempo, di quell'esistenza improntata ad un senso grave e solenne di sacralità.
Voci silenziose travolgono l'anima, che si abbandona a sentimenti infiniti
e teneri, in una magnifica quiete, interrotta soltanto dal fruscio delle piante.
Una quiete che continua a procurare la sensazione di essere "altrove",
lontani dal mondo, raccolti nella contemplazione dei valori dello spirito.
Se, dunque, inizialmente l'attenzione del visitatore viene catturata dalle
peculiarità artistiche di queste opere architettoniche, è la
segreta religiosità che regna al loro interno a rapirne l'anima!
Si viene avvolti dalla stessa mistica atmosfera oltrepassando la soglia di
una delle poche chiese bizantine, tutt'oggi in buono stato di conservazione,
che si trovano sul territorio della Calabria, come La Chiesa della Panaghia
e quella di San Marco, a Rossano, la Chiesa dei Liquorini, a Tropea e quella
di S.Giovannello, a Gerace. Piccole, raccolte,rischiarate spesso da un'ampia
fascia di luce, elemento importante nell'architettura bizantina, esse accolgono
i loro visitatori in una calma completa, nella quale risuona soltanto la melodia
della loro più profonda interiorità.
Lo splendore di queste chiese si rifletteva, dunque, più che nelle
loro forme architettoniche,nella sontuosità dell'arredamento interno.
La loro decorazione ( consistente in prevalenza in affreschi, icone, arredamenti
sacri, alcuni dei quali provenivano da Costantinopoli), poteva essere ricca
e fastosa, non per la vanità dei devoti ma per onorare Dio, nella sua
magnificenza.
Percorrendo le strade silenziose dei paesini che fanno parte della Calabria
bizantina, si riconosce quell'identica forte componente spirituale che fu
cosi rilevante per l'esistenza dei loro antichi abitanti, nelle persone che
si ha il privilegio di incontrare.
Non solo nell'arte si proietta la storia degli uomini, ma anche nella loro
fisicità, nella loro "carne". La storia li plasma: molti
dei segni esterni che caratterizzano un individuo, possiedono una profonda
"ragione storica". I delicati lineamenti di un ieratico volto di
donna; la purezza del suo sguardo; i suoi timidi gesti, quale quello di nascondere
prontamente il suo sorriso portandosi una mano alla bocca; i suoi passi lenti
e vellutati, quasi avesse timore di fare troppo rumore; il modo in cui socchiude
le palpebre mentre prega, come se questo quasi impercettibile movimento le
consentisse di guardarsi meglio nell'anima: in tutta questa esteriorità
si ritrova l'ascetismo della cultura bizantina.
Nel contegno solenne di un uomo; nella severità del suo sguardo; nella
calma che traspare dal suo comportamento; nel calore della sua voce; nel senso
di abnegazione e di distacco che egli esprime in un sorriso appena accennato;
nel gesto di sollevare con estrema calma un braccio, con cui sembra salutarci
come da una lontananza di secoli: in tutta questa esteriorità si ritrova
l'ascetismo della cultura bizantina!
Se, poi, si ha la fortuna non solo di incontrare, ma anche di conoscere in
maniera meno superficiale questi uomini e queste donne, sarà possibile
scoprire nel loro carattere, nella loro indole, le tracce inequivocabili della
cultura bizantina. E, così, ci si renderà conto che ciò
che ad un primo incontro potrebbe apparire come un temperamento cupo, si rivelerà
presto quale tendenza a ripiegarsi su se stessi, nel perenne bisogno di entrare
in contatto con la propria intima essenza; il disprezzo con cui sembrano guardare
a quelle che considerano frivolezze della vita quotidiana, maschera un febbrile,
intenso desiderio di librarsi in volo, di liberarsi dai lacci di un'esistenza
materiale misera, che può regalare solo una gioia effimera, per ricercarne
una più grande, la quale abbia il dolce sapore dell'immortalità;
il cinismo con cui spesso giudicano gli eventi umani, nasconde la loro segreta
speranza di vedere realizzarsi un'umanità migliore, compenetrata da
una robusta e inattaccabile spiritualità; la semplicità e l'essenzialità
che caratterizza il loro modo di vivere corrisponde ad un categorico rifiuto
del superfluo, che ancora nel loro inconscio assume l'antico significato di
peccato; l'accettazione dei duri colpi del destino con rassegnazione, non
viene indotta da meschina cedevolezza, ma da un radicata fede religiosa; infine
il rigore con cui trattano sé stessi, altro non è che insaziabile
fame di infinito.
Non soltanto tali aspetti, strettamente connessi ai valori religiosi del mondo
bizantino hanno conservato una sorprendente vitalità.
La civiltà bizantina, ben differenziata nel quadro della storia globale
dell'ellenismo, fu contraddistinta dall'incontro, arricchito anche da numerosi
apporti orientali, della grecità pagana con la nuova spiritualità
cristiana. Uno dei suoi grandi meriti fu proprio la conservazione dell'eredità
greco - classica, che essa trasmise, alla caduta dell'Impero d'Oriente, al
nuovo mondo europeo occidentale, rimasto all'oscuro della cultura greca fin
dal primo medioevo. La letteratura che nacque da questa singolare interazione
tra classico e pagano presenta caratteri di fissità e rigidità
formale, di purismo linguistico. Nel periodo storico che intercorse tra il
IV e il VI sec., sopravvisse accanto all'ispirazione cristiana, un vivace
movimento di pensiero che diede voce all'antica anima del mondo greco. Fu,
tuttavia, la letteratura religiosa, la più viva e ricca espressione
dello spirito e del pensiero bizantino. Nel Museo Diocesano di Rossano, è
custodito il Codex purpureus, che, mutilo di alcune parti, conserva i Vangeli
di Matteo e di Marco e una serie di miniature. Essi furono trascritti nel
VI sec. su pergamena tinta di porpora, secondo il costume bizantino. Per tale
motivo, infatti, sono noti anche con il nome di Codex purpureus. Sul suo frontespizio
sono riprodotti in clipei i busti dei quattro evangelisti. Tale dettaglio
fa supporre che il Codice fosse un Tetravangelo.
Tante delle prerogative del rigoroso stile linguistico che caratterizza i
testi di letteratura bizantina, costituiscono gli elementi essenziali del
modo di conversare, di comunicare, in particolare, degli intellettuali calabresi.
E' sufficiente scambiare qualche parola con alcuni di loro, per rendersene
conto. Si potrà, allora, ravvisare nel loro discorrere: il piacere
di scegliere parole dal suono gradevole, mediante il quale vanno interpretate
le frasi, più che per il loro retto senso; la meticolosa ricerca di
rari aggettivi; la ridondanza e la complessità dei discorsi; il non
esprimere mai direttamente il pensiero ma, piuttosto limitarsi a suggerirlo
all'interlocutore, lasciando che sia quest'ultimo a ritrovarlo in un mare
sconfinato di vocaboli; l'ansia della perfezione della forma.
E' inutile negarlo: non si può che rimanere affascinati da un tale
delicato stile linguistico pervaso da questo "spirito bizantino"!
Un fluire armonioso di parole dotate di una superba musicalità, misto
ad allusioni disparate e a venature di incomprensibile poesia. Perfino nelle
pause del discorso riecheggia una sorta di "muta eloquenza", che
suscita una piacevole tensione in colui che ascolta, il quale inevitabilmente
sarà sopraffatto da una domanda: "
e ora, cosa dirà?".
Si viene sedotti anche dal tono di voce, dalla pronuncia: un vero sortilegio
di dolcezza!
Talvolta si rimane intrappolati nell'eccessiva sottigliezza delle argomentazioni,
le quali sono dotate di una bella forma , priva però di sostanza: un
labirinto linguistico che serve a celare la volontà di non manifestare
i propri autentici pensieri. Come può accadere di smarrirsi in ragionamenti
estremamente complicati che finiranno con il sembrarci del tutto inconcludenti.
Nel linguaggio corrente tale preziosismo culturale, raffinatissimo ma decadente,
viene indicato con un termine preciso e piuttosto noto: bizantinismo. Il suo
significato possiede certamente una valenza semantica negativa. Trovarsi di
fronte ad un alto rappresentante di questa sapienza delicata, può disorientarci,
turbarci ma sempre eserciterà su di noi un fascino misterioso, dinnanzi
al quale finiremo per capitolare!
Ascetismo, spiritualità, ieraticità, estetismo occupano, dunque,
uno spazio importante nella civiltà bizantina calabrese. Vale la pena
ricordare però che , soprattutto quello che viene considerato il primo
periodo dell'impero bizantino ( 395 - 641), fu caratterizzato da un rilevante
sviluppo dell'industria e del commercio. Ciò significa che l'attenzione
per i valori religiosi e il gusto per la sottigliezza dello spirito greco,
non si traduceva in "pigrizia", nell'assenza di operosità.
Tutt'altro!
In Calabria gli stessi monaci dediti totalmente alla preghiera, dissodarono
e coltivarono la terra. Particolarmente floridi erano i vigneti. D'altra parte
anche l'asceta più intransigente aveva dei bisogni da soddisfare, e
a tale scopo, poiché in nessun caso avrebbe dovuto sollecitare, donazioni,
ricorreva al proprio lavoro. Esso non consisteva solo nell'attività
agricola, ma anche in una discreta produzione artigianale (il celebre monaco
San Nilo, vissuto a Rossano, copiava manoscritti).
Un'interessante curiosità relativa all'economia della Calabria bizantina,
è da considerarsi la pratica diffusa dell'allevamento del baco da seta.
Le prestigiose seterie siciliane, molto probabilmente, avevano un provvisto
fornitore della materia prima proprio in Calabria.
I contadini calabresi sicuramente ereditano questo culto del lavoro e una
tale spiccata attitudine all'operosità.
La civiltà bizantina riflette, dunque, ancora in Calabria il suo splendore
nell'arte che ad essa appartiene, ma anche nei calabresi di oggi. Conoscere
l'arte bizantina, significa comprendere più nel profondo l'umanità
calabrese, perché nulla, quanto l'arte, sta in un rapporto privilegiato
con l'uomo.
D.ssa Olga L'ANDOLINA